Di Maio tra Ilva e sostegno al reddito. I troppi dossier del super ministro

Lavoro-Sviluppo, promesse elettorali costose e difficili da realizzare

Una veduta aerea dello stabilimento dell'Ilva di Taranto (Ansa)

Una veduta aerea dello stabilimento dell'Ilva di Taranto (Ansa)

Roma, 2 giugno 2018 - Il passaggio di consegne con Carlo Calenda e Giuliano Poletti avverrà tra lunedì e martedì, ma Luigi Di Maio ha già coniato lo slogan che lo accompagnerà al vertice del super ministero Lavoro-Sviluppo: «Al lavoro per creare lavoro». Solo che il leader 5 Stelle, passati i festeggiamenti, si troverà sui tavoli dei due dicasteri di Via Veneto una serie di delicati nodi da sciogliere e di sfide da perseguire senza precedenti. Basta mettere in fila i dossier per rendersi conto: dalla controversa vicenda dell’Ilva alla partita Alitalia, dalle centinaia di crisi aziendali a due costose promesse elettorali tutte da gestire, come il superamento della riforma Fornero e l’avvio del reddito di cittadinanza.   Ma, d'altra parte, è proprio su questi tasti che il capo del Movimento insiste come tabella di marcia del programma dei primi 100 giorni: «È ora di far ripartire il Paese, di mettere da parte la Fornero, di istituire il reddito di cittadinanza e il salario minimo orario. E lo faremo». Più sibillino l’annuncio «Metterò mano al Jobs Act»: molto complicato, infatti, che si possa tornare al vecchio articolo 18. 

Il Di Maio politico si troverà a fare rapidamente i conti con il Di Maio ministro. E allora non è un caso che i primi atti riguarderanno, con tutta probabilità, due ambiti che non necessitano di copertura finanziaria: l’introduzione del salario minimo di 8 euro e un provvedimento con penalizzazioni per le imprese che chiudono in Italia e delocalizzano all’estero. Sotto il primo aspetto la previsione di un salario minimo orario finirà per incidere sulle aree del mercato del lavoro non coperte dalla contrattazione (i riders del food delivery, per esempio), perché negli altri settori i minimi contrattuali sono già previsti e solitamente superiori a quella soglia. Più complessa la seconda partita: una regola che obbliga le imprese a restituire eventuali contributi pubblici esiste dal 2013 e fu voluta proprio dai 5 Stelle, ma si applica solo per le aziende che vanno fuori dall’Europa. Di Maio, Ue permettendo, vorrebbe estenderla anche a chi si trasferisce in Polonia o in Slovacchia. 

Il capitolo reddito di cittadinanza potrà essere aperto in termini operativi dopo la riforma dei centri per l’impiego: servono, per farlo, 2 miliardi e almeno dieci mesi (anche se il numero uno dell’Anpal, Maurizio Del Conte, parla di 4-5 anni). È certo, però, che sarà la domanda più ricorrente per il neo-ministro: quando arriveranno i primi assegni da 780-1.630 euro?   Per il superamento della Fornero, anche nella versione più vincolata (uscita con quota 100 o con 41 anni di lavoro, ma a partire dai 63-64 anni) ci vorranno 5 miliardi. In parte si potrà agire sulle pensioni d’oro: ma se la soglia del taglio è quella dei 5mila euro netti, l’incasso sarà magro.  Attraversata la strada, Di Maio dovrà fare i conti da subito con il nodo Ilva. Ad aiutarlo, come vice-ministro, sarà il professore deputato Lorenzo Fioramonti. Ma la partita è tutta da sbrogliare: entro il 30 giugno è atteso l’accordo tra i sindacati e l’azienda acquirente Mittal. A dividere le due parti ci sono 4mila esuberi. Il problema è che i 5 Stelle hanno promesso la riconversione dello stabilimento di Taranto, con la bonifica ambientale, senza perdita di occupazione: una sorta di quadratura del cerchio. Quanto all’Alitalia, la parola d’ordine è azzeramento della procedura di vendita per andare verso la rinazionalizzazione dell’ex compagnia di bandiera, privatizzata nel 2008. Una linea opposta a quella di Calenda.