Mercoledì 24 Aprile 2024

Decreto dignità e contratti a termine, quali sono le incognite

Pareri discordanti sugli effetti del provvedimento, ecco cosa cambia Decreto dignità, Conte-Di Maio: "Non siamo contro le imprese"

Luigi Di Maio, vicepremier e ministro del Lavoro (Ansa)

Luigi Di Maio, vicepremier e ministro del Lavoro (Ansa)

Roma, 4 luglio 2018 - Il decreto dignità, approvato lunedì sera in Consiglio dei ministri e presentato ieri in conferenza stampa dal premier Giuseppe Conte e dal vice Luigi Di Maio, introduce importanti riforme sui contratti a termine. "E' un colpo mortale al precariato", ha annunciato il ministro del Lavoro pentastellato, mentre è dura la posizione di Confindustria che parla di "segnale molto negativo" e di possibile boomerang per l'occupazione. Sugli effetti che il provvedimento potrebbe avere i pareri sono discordanti. Ecco quali sono i punti fondamentali che subiscono variazioni. 

Testi a cura di CLAUDIA MARIN

- Precari in bilico, la metà è under 35. I contratti a tempo determinato che si concluderanno nei prossimi mesi sono 1,6 milioni, secondo una stima di Datagiovani in collaborazione con Il Sole 24 Ore, che include però anche la pubblica amministrazione alla quale non si applica la stretta del decreto dignità. È un’esenzione importante visto che la P.A. insieme a istruzione, sanità e servizi sociali è il primo settore per contratti a termine in scadenza (526 mila). Tra le attività a cui si applicano invece in pieno le nuove norme al primo posto ci sono l’industria e le costruzioni (288 mila contratti in scadenza) seguiti dall’agricoltura (170 mila) e dal commercio (178 mila contratti). Poi vengono le attività finanziarie, assicurative e immobiliari (134 mila), gli alberghi e i ristoranti (163 mila). Già entro l’estate termineranno 892 mila contratti. Riguardano soprattutto di lavoratori giovani (il 47,2% ha meno di 35 anni), ma non solo visto che il precariato si è esteso anche ai lavoratori più maturi.

- Causali oltre un anno, a rischio gli stagionali. La previsione delle causali oltre i 12 mesi - spiega Emmanuele Massagli, presidente di Adapt - paradossalmente svantaggia proprio le imprese che utilizzano i contratti a termine perché ne hanno realmente esigenza poiché operanti in settori produttivi particolarmente esposti all’andamento di mercato o di natura stagionale (che vanno oltre il singolo anno di utilizzo). La maggior parte degli abusi sul contratto a termine invece si esaurisce entro l’anno. Particolarmente preoccupante risulta, se confermata, la non ricomprensione tra le causali delle attività stagionali, in un Paese come il nostro che in molte zone vive di turismo ovvero di attività manifestamente stagionali. Il che determinerebbe una perdita di posti di lavoro e occasioni di sviluppo.

DECRETO DIGNITA_32193506_092306
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- Aumento delle indennità, pochi effetti sui licenziamenti. Se la si guarda in termini generali, l’aumento del 50 per cento dell’indennità di licenziamento in caso di risoluzione del rapporto di lavoro senza giusta causa appare come una misura destinata a scoraggiare i licenziamenti per i lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti. In realtà, però, l’impatto reale è meno drastico o potrebbe essere meno drastico. Come osserva Emmanuele Massagli di Adapt, l’incremento dell’indennità massima di licenziamento da 24 a 36 mensilità avrà pochi effetti pratici.  La ragione è presto detta: la maggioranza delle indennità riconosciute dai giudici sono relative a rapporti di lavoro ben più brevi rispetto a quelli necessari per la maturazione delle 36 mensilità. Norma neutrale anche in termini di deflazione del contenzioso che per quanto concerne il licenziamento è già in costante diminuzione da qualche anno. Più consistente l’impatto del contributo previsto per il lavoro a termine, che è aumentato dello 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Secondo alcune stime potrebbe portare a un significativo aggravio dei costi per le imprese. 

- Le nuove norme su rinnovi e proroghe. L’articolo 1 comma 2 puntualizza che le nuove norme si applicano a tutti i contratti di nuova stipula, nonché ai rinnovi e alle proroghe di quelli in corso. Di fatto - osserva Emmanuele Massagli, di Adapt - non c’è una vera e propria transitorietà: eccetto una piccola percentuale di contratti senza causale già stipulati per durate pluriennali, di fatto su tutti gli altri, appena saranno da rinnovare o prorogare, si applicheranno le nuove disposizioni, decisamente più stringenti. Il governo non è venuto incontro alle associazioni datoriali, particolarmente preoccupate su questo punto. D’altra parte, non si si dimentichi che oltre l’84% dei contratti a termine dura meno di un anno. E la diminuzione della durata complessiva del rapporto di lavoro a termine da 36 a 24 mesi incide, a sua volta, su un numero di contratti inferiore al 20%. Di conseguenza il reale effetto di diminuzione del cosiddetto precariato è molto lieve. È tutta da dimostrare la possibilità che questi contratti si trasformino a tempo indeterminato. Probabile anzi che assisteremo a un incremento dei ‘ritmi’ precariato più odioso, ovvero alla scientifica sostituzione di lavoratori a termine dopo 12 o 24 mesi per non incorrere nell’obbligo di assunzione.