Decreto dignità, la rabbia del nord. Le imprese: "Ideologia dannosa"

Dalla Brianza al Veneto un coro di critiche sui contratti a termine

Luigi Di Maio durante la presentazione del decreto diginità (Ansa)

Luigi Di Maio durante la presentazione del decreto diginità (Ansa)

Roma, 5 luglio 2018 - La Brianza delle piccole imprese che creano ricchezza e chiedono un ministero tutto per loro, manda un messaggio chiaro al governo sul decreto dignità: roba vecchia. Lo pensa Paolo Agnelli, presidente nazionale di Confimi – confederazione dell’industria manifatturiera italiana –, 30mila aziende e 72 miliardi di fatturato. Gli umori sono usciti allo scoperto in un’assemblea a Monza. Dura l’analisi dell’industriale bergamasco, che ha definito "una cambiale da pagare all’ideologia elettorale" ridurre a 24 mesi i contratti a tempo determinato e aumentare dello 0,5% il contributo per ogni rinnovo. Nicola Caloni, presidente di Confimi Brianza – imprenditore con 250 dipendenti divisi in due aziende –, smonta il decreto con toni pacati.

Decreto dignità e contratti a termine, quali sono le incognite

"Non mi piace questo clima di tiro alla fune – premette –. Non è più il tempo delle lotte sociali, siamo tutti sulla stessa barca. Le persone che lavorano con te sono un valore, non un costo. Nessuno ha interesse a tenerle in bilico. Anzi, noi spesso abbiamo la difficoltà opposta. Ma qui si chiedono garanzie ad esclusivo carico dell’azienda". Il governo, è il suggerimento, "dovrebbe concentrarsi su altro. Ridurre il costo dell’energia e del lavoro, intervenire sul cuneo fiscale. Noi piccole e medie imprese siamo così tante che se una su tre assumesse un ragazzo, non avremmo più disoccupazione giovanile. E perché le aziende non lo fanno? Perché non hanno voglia? Perché non ci credono? No, perché non vedono le condizioni per quella crescita che permetta di avere una persona in più. Possibilmente anche giovane. Se il volano gira, i problemi si risolvono da soli".

E mentre Di Maio annuncia "la Waterloo del precariato", Assolavoro twitta: "#DecretoDignità mette a rischio 700mila persone con un contratto di somministrazione e oltre 10mila assunti direttamente dalle agenzie per il lavoro". "Un disastro", la sintesi di Alberto Baban, vicepresidente di Confindustria anzi "imprenditore seriale. Europeo, Italiano, Veneto", come si descrive sui social. Parlandoci poi capisci il perché: "Ho investito in 15 imprese, le ho create, dalle macchine agricole alle schede elettroniche, la più grande ha 100 dipendenti. Delocalizzazioni? Zero". Però anche sulle multe previste dal decreto per chi lascia l’Italia è scettico: "Come si fa a pensare che un paese importante possa imporre le proprie regole del gioco...".

L’analisi sul testo del governo ricalca il mantra di Confindustria: "Si fa ideologia. Invece la categoria è una sola, si chiama lavoro. Gli interessi sono identici, uguali per tutti". Ma da oggi in ‘casa’ sua, che conseguenze ci saranno sui contratti a tempo? Prudente: "Devo ancora fare i conti. Il problema non riguarda solo l’impresa. Bisogna considerare anche le ambizioni del dipendente». Per essere chiari: «Il lavoro a tempo determinato non è precariato. È un periodo di formazione, un percorso per capire se si hanno le caratteristiche richieste e se si è interessati. Ricordiamoci che in certe zone d’Italia non si trova un certo tipo di manodopera".

Luca Vignaga, direttore del personale a Marzotto group – storico marchio della moda, 4mila dipendenti dal Veneto al mondo – salva del decreto la riduzione a 24 mesi, "per le necessità delle aziende bastano", e anche "la riduzione delle proroghe da 5 a 4". Ma sulla causale è deciso: "Una grande sciocchezza. Aumenterà il contenzioso. E poi bisogna dare fiducia agli imprenditori. Così torniamo indietro di cinque anni".

Anche sui social è battaglia. "Mio marito ha deciso di non assumere un collaboratore in più a tempo determinato visto l’incremento del costo", twitta Federica Bonafaccia, avvocato romano. In poche ore viene subissata da cinquecento commenti e insulti irripetibili. Così qualche ora più tardi è costretta a chiarire: vi sto provocando. Al telefono spiega: "Mio marito ha uno studio legale, alla fine assumerà comunque quel collaboratore ma il decreto lo ha inibito. Avrà lo stesso effetto su tanti altri. Dannoso per piccoli imprenditori e professionisti. Il contratto costerà di più e darà origine a contenziosi. E poi tutta questa tutela dov’è?".

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