Draghi e quello spiraglio sulle dimissioni. I perché della crisi di governo

Mercoledì il giorno cruciale con la verifica in Parlamento. L'Aventino del Movimento 5 Stelle e la tentazione del voto

Mario Draghi e Sergio Mattarella (Ansa)

Mario Draghi e Sergio Mattarella (Ansa)

Roma, 15 luglio 2022 - Dimissioni. Mario Draghi le ha consegnate ieri sera nelle mani di Mattarella che, senza esitazioni, ha respinto l'offerta al mittente. Noblesse oblige. La crisi di governo è nei fatti anche se l'esecutivo sul Dl Aiuti, nonostante lo strappo M5s, ha incassato la fiducia in Senato (172 sì). La data clou da segnare in calendario è quella di mercoledì 20 luglio, quando il premier renderà comunicazioni alle Camere sulla crisi. Una giornata che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio vede "molto complicata" se "non ci sarà un atto di responsabilità dei partiti". Per il leader di Ipf mercoledì l'Italia "rischia di restare senza governo".

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Il D-day della crisi

Il crocevia dell'esecutivo sarebbe quindi la verifica in Parlamento di mercoledì. Mancano poco più di 5 giorni all'ora X ed è facile azzardare che, più o meno sotto traccia, le trattative saranno frenetiche. Non a caso il Colle ha scelto di non fissare il passaggio in Aula lunedì o martedì. Ogni ora può essere preziosa per uscire dalla crisi. Impossibile dire ora cosa succederà il 20 luglio. La certezza, al momento, è che Draghi ha più volte ribadito che senza M5s il suo Governo non va avanti. Come ha detto ieri nelle sue comunicazioni, dopo la mancata fiducia dei pentastellati "non ci sono più le condizioni per realizzare il programma di governo". Difficile che cambi idea. Così come non è quotata, al momento, una retromarcia dei 5 Stelle. In ambienti pentastellati tra le ipotesi ci sarebbe addirittura quella di ritirare i ministri prima di mercoledì. E non è escluso il ricorso al voto online per dare voce alla base su un'eventuale fiducia. Se ne saprà di più dopo il nuovo Consiglio Nazionale di oggi. Conte ha chiesto "risposte vere", ma un compromesso a oggi non si intravede. Anche perché il centrodestra è tentato dal voto e soprattutto il premier ha chiarito che resterà solo se potrà lavorare "alle sue condizioni". L'unico spiraglio per un Draghi bis è in quella parola che ieri non è stata associata a "dimissioni", ovvero "irrevocabili". Per Stati Uniti ed Unione europea il premier deve restare dov'è. Troppi e troppo scottanti i tavoli da chiudere, con riflessi internazionali e sui mercati. 

Dovesse cadere il governo, Mattarella sarebbe orientato a indire elezioni anticipate. Che resti in carica l'attuale esecutivo per l'ordinaria amministrazione oppure se ne formi uno istituzionale (i nomi sono sempre gli stessi, compreso quello di Giuliano Amato) pare ora un risvolto secondario. Sullo sfondo anche un governo tecnico o tecnico politico, ma solo se guidato dal premier. Scenari che al momento sembrano poco plausibili.  Il punto è che se mercoledì Draghi conferma il suo addio non ci saranno altre strade se non le elezioni anticipate. Quando? Probabilmente tra fine settembre e inizio ottobre. Ma se in cinque giorni può succedere di tutto, figurarsi in due mesi e mezzo. 

I perché della crisi

L'Aventino del Movimento 5 Stelle si è consumato nel voto di ieri in Senato sul Dl Aiuti. Niente fiducia, come annunciato da giorni. Nessun ripensamento. Un 'no' che si è tradotto nella non partecipazione al voto. Tre i punti del decreto che hanno portato alla rottura. Innanzitutto ka norma che attribuisce poteri speciali al sindaco di Roma e autorizza la costruzione di nuovi termovalorizzatori. La limatura del reddito di cittadinanza: basteranno due 'no' (invece che tre) a un'offerta di lavoro per perdere il diritto al sussidio. Oltre a quello ai centri per l'impiego, il rifiuto sarà conteggiato anche se rivolto a un datore di lavoro. Infine, il ridimensionamento del Superbonus, altro cavallo di battaglia M5s, con la limitazione ai crediti concessi alle banche come ristoro per chi accede all'incentivo. Per questi motivi, principalmente, i pentastellati non hanno votato la fiducia in Senato. Che è passata, pur senza i loro voti. Ma Draghi è rimasto coerente sulle sue posizioni, espresse a più riprese nei giorni precedenti: senza Conte e i suoi il programma non è più realizzabile, quindi lascio. E la crisi di governo è servita.