Governo verso la crisi, gli scenari: cosa succede se Draghi non ottiene la fiducia

Cinque Stelle pronti a uno strappo sul Dl aiuti: giovedì il voto in Senato. Ipotesi elezioni anticipate o rimpasto. Ultimi tentativi di ricucire

Mario Draghi (Ansa)

Mario Draghi (Ansa)

Roma, 12 luglio 2022 - Il governo Draghi è a un passo dalla crisi… Mario Draghi – che ieri è salito al Quirinale per spiegare lo stato dell’arte a Sergio Mattarella - fa sapere di averne "le tasche piene" dei 5Stelle e delle loro ‘mattane’. "Non permetterò" – aggiunge, parlandone con i suoi – "che questa situazione si trascini ancora a lungo". Il premier è pronto ad aprire alle richieste dei 5S su alcuni punti (salario minimo, Reddito di cittadinanza, superbonus, nuovi aiuti alle famiglie e alle imprese), ma non su tutto. Per capirci, un nuovo scostamento di bilancio di nuove decine di miliardi non può permetterselo, perché farebbe ‘sballare’ tutti i conti pubblici. Come pure dice di no alla rottamazione delle caselle esattoriali, che chiede anche la Lega, a ‘quota 92’ per la riforma delle pensioni e ad altri interventi a carico della fiscalità generale.

Giuseppe Conte, dal canto suo, fa sapere che "il tempo sta per finire". Il capo politico dei 5Stelle chiede, dal premier, risposte, "tassativamente entro fine luglio", alle nove "inderogabili" richieste avanzate dai 5Stelle e che ha illustrato al premier nel loro incontro di mercoledì scorso. Lo ‘strappo’ è invocato a gran voce dai gruppi parlamentari dei 5Stelle, specialmente i senatori. E persino Beppe Grillo telefona, senza fare battute comiche, ai parlamentari, consapevole che "siamo a un bivio e il momento è difficile". In più, Silvio Berlusconi, seguito a ruota dalla Lega, chiede – anzi, pretende – una "verifica di governo" (termine in disuso dalla I Repubblica) e dice ai suoi che "non si può andare avanti così", "questi (i 5Stelle, ndr.) sono degli irresponsabili".

Il Pd cerca, faticosamente, di mediare, Enrico Letta in testa, cercando di ‘trattenere’ Conte dalla voglia matta di aprire una crisi di governo, ma finora con scarso successo. Gli altri partiti osservano, preoccupati, l’evolversi degli eventi. Le acque della politica italiana, dunque, tornano ad agitarsi, e stavolta assai pericolosamente. Si chiama, in gergo politico, situazione di ‘pre-crisi’.

Sommario

Giovedì giorno clou

Il punto, ormai chiaro, è se l’M5s aprirà davvero la crisi di governo, magari con uno ‘strappo’ già a entro fine luglio o solo rinviato a settembre. In realtà, già sul dl Aiuti al Senato si vedrà il comportamento in Aula dei 5Stelle, dopo quello tenuto, e peraltro assai ambiguo, alla Camera, dove i 5Stelle hanno detto di ‘sì’ alla fiducia, giovedì scorso, ma ‘no’ al provvedimento finale (lunedì) uscendo dall’aula al momento del voto. La ‘linea’, in vista del voto al Senato che si terrà giovedì 14 al Senato (il dl, con ben 23 miliardi di aiuti a famiglie e imprese ‘scade’ il 20 luglio), ad oggi la posizione del M5s sarebbe quella di uscire dall’Aula, al momento del voto, perché – al Senato – l’astensione in aula vale come voto contrario. La fiducia si vota, cioè, insieme al testo del provvedimento, non in due voti distinti, come alla Camera, quindi, i 5Stelle non possono fare il ‘giochino’ di dire sì alla fiducia e astenersi sul provvedimento, come hanno fatto alla Camera. Molti senatori dei 5Stelle, dato che al Senato i ‘pasdaran’ che vogliono dire ‘no’ alla fiducia sono molti, non sentono ragioni e lo stesso Conte fa fatica a tenerli a freno.

Verso la crisi: m5s pronti allo strappo

Domani sera, mercoledì 13, Conte terrà un’assemblea con i senatori e sarà "pirotecnica" annunciano da palazzo Madama. Almeno 10 senatori sono pronti a strappare in ogni caso. Conte, cioè, non controlla i gruppi. Il problema è che se, anche solo con l’astensione, venisse meno la fiducia da parte di un partner così chiave dentro l’attuale maggioranza di governo, Draghi tornerebbe al Colle aprendo la crisi. Nel Pd sono molto, ma molto, preoccupati… Inoltre, molti partiti, a partire dagli ‘alleati’ del Pd, temono un comportamento così ballerino, da parte del M5s: ritengono un "atto politico grave" non votare la fiducia, anche in forma camuffata. La stessa alleanza con i 5Stelle, il famoso – e già, ormai, quasi ‘defunto’ – ‘campo largo’ sarebbe a rischio, con conseguenze negative alle Politiche. Letta smentisce di volersi prestare a continuare la legislatura in altro modo ("Se cade il governo, si va a votare"), ma i suoi parlamentari, tutti "uomini di mondo", assicurano che il Colle obbligherebbe Draghi (e, dunque, figurarsi Letta) ad andar avanti lo stesso. Nel Pd si ritiene che le aperture oggi arrivate sul salario minimo potrebbero essere una soluzione, ma ai 5Stelle non basta: "Vogliamo il salario minimo, non un segnale minimo, da Draghi".

Cosa può succedere?

Ma cosa, da giovedì in poi, potrebbe succedere? Innanzitutto, non è detto che, anche se i 5Stelle aprissero la crisi di governo, si andrebbe a votare. Poi molto conterà dall’atteggiamento di Draghi e, ovviamente, dalla volontà dei partiti che, ad oggi, formano la maggioranza di governo. In ogni caso, molte sono le soluzioni possibili e le variabili. L’impervia strada delle elezioni anticipate Draghi potrebbe tenere fede all’impegno dichiarato ("O c’è questo governo di unità nazionale o non c’è più il mio governo") e dimettersi in modo irrevocabile. A quel punto, resterebbe in carica come governo dimissionario per "sbrigare gli affari correnti", la formula di rito. Praticamente impossibile che nasca, invece, un governo ‘tecnico-elettorale’ solo per il voto. In ogni caso, si aprirebbe una sola strada: quella delle elezioni anticipate.

Ipotesi elezioni anticipate

Si voterebbe, a quel punto, con l’attuale legge vigente, il Rosatellum, che prevede un mix di un terzo di collegi maggioritari uninominali e due terzi di collegi plurinominali proporzionale. Legge che, però, essendo già entrato in vigore il taglio del numero dei parlamentari prevede una secca decurtazione degli stessi, che scenderanno da 945 a 600 (400 alla Camera e 200 al Senato). In ogni caso, la proporzione dei seggi sarebbe questa: 147 collegi uninominali e 245 plurinominali alla Camera e 74 collegi uninominali e 126 plurinominali al Senato (compresi, nei plurinominali, i 12 seggi Estero). Sostanzialmente, chi prende la maggioranza dei collegi uninominali, vince le elezioni e, ad oggi, secondo tutti i sondaggi, è favorito il centrodestra. Inoltre, dati i tempi tecnici che intercorrono tra lo scioglimento anticipato delle Camere (decreto del Presidente della Repubblica che viene controfirmato dal Presidente del Consiglio) e la data delle elezioni (decreto del Presidente del Consiglio controfirmato dal Capo dello Stato), non sarebbe possibile, in ogni caso, andar al voto prima degli inizi di ottobre. Il Viminale, di solito, ha tra i 45 e i 70 giorni, per legge, per indire la data delle elezioni, ma si prende sempre il massimo dell’arco temporale (60-70 giorni), a causa delle complicate operazioni per accendere le pratiche del voto degli italiani all’Estero. Quindi, con una crisi di governo fissata a metà/ fine luglio, non si voterebbe prima di ottobre, anche se probabilmente entro i primi dieci giorni. A quel punto, dal giorno del voto, servono altri venti giorni per insediare le nuove Camere, poi bisogna aprire le consultazioni e formare un nuovo governo che non sarebbe in sella, neppure volendo, entro la fine di ottobre/inizio novembre. A mala pena si potrebbe fare la legge Finanziaria, a rischio di esercizio provvisorio (31 dicembre).

La strada di un Draghi bis o di un rimpasto

Ma la strada delle elezioni anticipate, per quanto plausibile, è anche la più impervia. Davanti al baratro che si aprirebbe, tra crisi energetica, rincari delle bollette, inflazione che sale, perdita del potere d’acquisto dei salari, crisi in Ucraina, siccità, Covid che ritorna, Pnrr da completare e, ovviamente, manovra di bilancio da scrivere, Mattarella farebbe di tutto, pur di evitare lo scenario delle elezioni anticipate, e risolvere la crisi con un colpo d’ala di cui è maestro. In buona sostanza, pur se ‘obbligato’ da Mattarella, il Capo dello Stato chiederebbe a Draghi di tornare davanti alle Camere per verificare se ha la fiducia e questa ci sarebbe. Il premier, in questo caso, sarebbe costretto a rimanere. Anche perché, grazie alla scissione di Di Maio, pur senza i 5s, i numeri, per una nuova maggioranza, ci sono tutti. Certo, Salvini e Letta, però, dovrebbero ‘coabitare’, in modo ancor più stretto, insieme: nessuno dei due vuole farlo e, di sicuro, la Lega – già oggi diventata, dopo la scissione dei gruppi di IpF di Di Maio – il primo gruppo politico per consistenza numerica, diventerebbe il socio di maggioranza della coalizione e, con l’aggiunta di FI, determinante, nelle scelte future del governo, con il Pd nelle – faticose – vesti di junior partner di maggioranza.

A questo punto si aprirebbero due ‘sotto-strade’. La prima sarebbe quella di continuare con la stessa formula attuale, semplicemente sostituendo i ministri del M5s (tre ministri, un viceministro, 4 sottosegretari), senza dare vita a un Draghi bis. In questo caso, soccorre il precedente del governo Letta che, nel 2014, sostituì i sottosegretari di FI (i ministri passarono tutti nell’allora Ncd di Alfano) senza formare un nuovo governo. Sarebbe la via di un rimpasto, cioè, ‘indolore’.

O, appunto, si potrebbe dar luogo a un rimpasto, ma dopo l’apertura formale di una crisi di governo, il che vuol dire che nascerebbe un Draghi bis con la maggioranza che resta (Lega-FI-Pd-Iv-LeU-CI-Azione-gruppi minori), senza i 5Stelle, e che, in ogni caso, gli conferma la fiducia in Parlamento. Le motivazioni per far nascere un nuovo governo, o per proseguire nell’azione dell’attuale, ci sono tutti: pandemia, guerra, Pnrr, crisi energetica. Inoltre, come detto a inizio ottobre si apre la sessione di bilancio e si rischierebbe l’esercizio provvisorio dei conti pubblici (dal 31 dicembre).

I numeri, anche senza i 5Stelle, ci sono, ma…

I numeri, in Parlamento, ci sarebbero. Per capirsi, oggi, con l’M5s al governo, Draghi gode di questi numeri: circa 555-560 deputati di maggioranza alla Camera (dipende da come si calcolano alcuni deputati singoli del gruppo Misto, in ogni caso la ‘base’ parlamentare, ad oggi, è di 550 voti sicuri) e 272/274 senatori al Senato (dove siedono sei senatori a vita, ma anche senza quelli sono 268). Con il quorum della maggioranza assoluta fissato a 316 voti alla Camera e a 161 voti al Senato, anche senza i 5s (62 senatori e 105 deputati), la maggioranza – se Pd-Lega-FI-IpF-Iv-gruppi minori la confermassero - godrebbe comunque di un ampio margine: 210 senatori e 455 deputati, anche considerando il loro numero ai minimi. All’opposizione, dove oggi fanno furore FdI, ma anche gli ex stellati de l’Alternativa e altri gruppi (totale attuale: 47 senatori e 61 deputati in tutto), siederebbero in 109 senatori e 166 deputati, con l’apporto dei gruppi stellati, quindi troppo pochi per impensierire un governo con numeri così alti. Ma la politica, si sa, non si fa solo con i numeri, anche se, indubbiamente, possono aiutare molto. Draghi sarebbe tentato a lasciare, data la rottura con un partner fondamentale della maggioranza, i 5stelle, il governo sarebbe ostaggio della Lega, e per il Pd ‘reggere’ un governo dovendo fare a ‘materassi’ tutti i giorni con Salvini sarebbe dura.