Sabato 20 Aprile 2024

Crisi di governo, fiction in Senato: tutti tengono famiglia

A destra e sinistra serpeggia la paura di dover trovare un lavoro in caso di voto

Il ministro Danilo Toninelli e Stefano Patuanelli, capogruppo M5s (Imagoeconomica)

Il ministro Danilo Toninelli e Stefano Patuanelli, capogruppo M5s (Imagoeconomica)

Roma, 8 agosto 2019 - Il Parlamento ne ha viste molte, e nella sua storia ha vissuto giornate memorabili, drammatiche, storiche, alcune anche noiose. Ieri è stata invece una giornata surreale. Una giornata capovolta, una commedia dell’assurdo, in cui niente era come appariva, il governo in carica non c’era, la maggioranza non ha fatto la maggioranza e l’opposizione ha scelto di non fare l’opposizione. Per tutti, anche per la democrazia, una bruttissima giornata. Altro che Tav, l’incubo di andare alle elezioni, per moltissimi perdere il seggio con la triste e concreta necessità di doversi cercare un lavoro è stato il vero punto intorno al quale è girata la mattina al Senato. La politica tiene famiglia.

E di questa mattina con il finale già scritto, iniziata presto in una Roma caldissima e già chiusa per ferie, sono tre le foto che resteranno nella memoria. Quella della sedia vuota del premier Giuseppe Conte, l’uomo che qualche settimana fa aveva promesso di non voler tirare a campare ma ieri non si è fatto vedere, quella dei due rappresentanti di Lega e Cinquestelle, Garavaglia e Santangelo, che chiamati a esprimersi formalmente a nome dell’esecutivo sulla questione Tav rendono in simultanea opposti pareri con loro stesso imbarazzo, e quella dei banchi del governo, metà ministri leghisti da una parte e metà grillini dall’altra che ostentatamente si ignorano, parlottano tra loro, si voltano le spalle. Di Maio triste solitario y final, sguardo perso nel vuoto, neppure una parola con il Salvini col quale fino a poco tempo fa aveva giurato di andare d’accordo; Matteo Salvini, il capitano, nervoso come poche volte, che arriva tardi, fa la spola tra i banchi del governo e l’emiciclo, parlotta con i suoi tappandosi la bocca come i calciatori, ascolta e poi alla fine riunisce i big leghisti in un capannello come Al Pacino. Fuori dall’aula l’atmosfera è sospesa. La preoccupazione per il seggio in bilico si legge negli occhi di tutti. Non ci sono punti di riferimento, in altri tempi una mattinata così avrebbe portato dritti alla crisi, le voci si rincorrono, c’è chi alla buvette giura che sia stato lo stesso Salvini a confidarlo a qualcuno del Pd, ma la politica liquida di adesso troppe volte ha fatto gridare al lupo al lupo. Quindi si torna al «surreale» che il capogruppo Cinquestelle Stefano Patuanelli scandisce nel suo discorso.

Surreale perché tutto è stato il contrario di ciò sembrava, e mentre in Aula andava in scena la fiction della discussione sulla Tav che nessuno stava a sentire, l’unica cosa di cui davvero i senatori parlavano nei corridoi di palazzo Madama era la riforma costituzionale del taglio dei parlamentari che andrà in ultima lettura il 9 settembre. Una bella gatta da pelare, anche per Salvini. «La riforma Fraccaro potrebbe accelerare tutto», spiega sornione un senatore ex comunista, esperto frequentatore dei palazzi. «Nessuno la vuole, neppure la Lega e nemmeno i Cinquestelle. Perché riduce il numero delle poltrone, mette fuori gioco chi è sotto il 10-15 per cento, in un ipotetico nuovo turno elettorale dà a Salvini parlamentari al Sud che lui non desidera e finirà per aprire le porte a una riforma elettorale proporzionale, che lui aborre. Se passa, la legislatura si blinda e gli spazi di manovra di Salvini terminano».

Era appena finita la votazione, intorno all’una, e la strada di lì alla sera sarebbe stata lunga. Anche nei capannelli davanti alla buvette si è parlato di tutto meno che della Tav. «Vede – argomenta Massimo Mallegni, senatore tra i più ascoltati in Forza Italia –, Salvini ha capito che se anche si andrà a votare Mattarella non farà gestire le elezioni da questo governo. Al Colle dicono che se un governo perde la maggioranza non può essere un arbitro imparziale per portare il Paese al voto». Un ulteriore elemento di incertezza, che rende scivolose tutte le uscite.

Nessuno si fida più di nessuno. E alla fine ci pensa Matteo Renzi, il solito mattatore, a cercare di risollevare l’umore dei suoi. Fermo in mezzo al Transatlantico è generoso di parole. «Che cosa dicevate nel 2016 di me? Che avrei governato trent’anni. E l’anno dopo c’era Gentiloni. Poi sono arrivati i grillini, adesso è il turno di Salvini. Vedete che tutto è molto veloce, occhio con i giudizi affrettati».

Sono le due, e iniziano i saluti. Per tutti ci sono i trolley pronti, figli e mogli al mare aspettano. «Buona vacanza senatore». A settembre ci vedremo. Forse.