La crisi e le metamorfosi del Power Ranger Conte. Ma Draghi non è Ciampolillo

Da premier rassicurante con i Dpcm a novello Di Battista che sbatte i pugni sul tavolo. Non ci si poteva fidare, invece c’è chi si è fidato

Quando Beppe Conte, il passante della Storia, interviene dopo le venti e venti, orario canonico istituzionalizzato ai tempi dell’emergenza Covid, significa che sta per arrivarci una ingloriosa cenciata. E così è stato, anche ieri, quando Conte ha parlato in streaming, dopo la centesima riunione del consiglio nazionale e dei parlamentari del M5S. Solo che prima, nella terribile primavera del 2020, quando ci chiudeva in casa a colpi di Dpcm, Conte manteneva un certo aplomb, ancorché casalinizzato.

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Giuseppe Conte (Ansa)
Giuseppe Conte (Ansa)

Era lì che si proteggeva la pochette con le autorevoli prescrizioni del dottor Brusaferro, il comitato tecnico-scientifico e tutto l’ordine sacerdotale (paradossale per chi era espressione di un partito che fino al giorno prima trattava gli esperti come una banda di truffatori).

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A molti sembrava rassicurante, quel Conte, anche se a noialtri già dopo il primo intervento televisivo pandemico pareva che fosse in preda a sé stesso. Del resto la storia politica contiana è fatta di autodefinizioni: prima “avvocato del popolo” nel 2018, poi “pater familias” nel 2019 e nel 2020. Oggi stiamo cercando di capire in quale Power Ranger potrebbe trasformarsi. Non sappiamo se esista il modello descamisado, ma potrebbe fare al caso suo.

Da quando ha deciso di imitare il fasciocomunista Alessandro Di Battista, populista col botto, Conte ha cominciato a sbattere i pugni sul tavolo. Come nella diretta Instagram del 31 marzo 2022, quando s’è messo in maniche di camicia su Instagram, non a vendere pentole con bici con cambio Shimano in omaggio, ma a spiegarci - di fatto, ora è chiaro a tutti - perché sarebbe rimasto poco nella maggioranza di governo.

Attenzione, la guerra in Ucraina era solo strumentale, come si è capito dai mesi successivi. Così come l’opposizione all’invio di armi per aiutare la popolazione ucraina. Da marzo 2022, insomma, c’è stata l’escalation di Conte, che ha lanciato la sua operazione politica speciale: “È davvero assurdo ciò che diciamo? Stiamo disturbando? Addirittura dobbiamo essere trattati come molestatori? Mi sembra che abbiamo una posizione di grande responsabilità: l’Italia non è nelle condizioni di affrontare un riarmo, non abbiamo le risorse finanziarie ma nemmeno la vocazione e questo lo abbiamo detto da subito”, diceva Conte a maggio. Poi la questioncella delle armi è passata, il M5S ha votato una nuova  risoluzione in Senato che ne confermava l’invio, e l’ex presidente del Consiglio s’è dovuto acconciare a capopopolo, pardon, capopopulista: novello Dibba, ha provato a recuperare lo spirito incendiario delle origini.

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Non si può dire quale sarà la parabola politica di Conte, perché in questo Paese dalla memoria storica di tre ore più o meno tutti si salvano. Epperò possiamo dire che Conte lo abbiamo conosciuto bene e che ci è già sufficiente la parabola attuale. Al punto che fidarsi di lui era impossibile fin dall’inizio. Come fidarsi di uno che ha governato, indistintamente, con la Lega e con il Pd, che diceva che il sovranismo è in Costituzione (pur insegnando diritto all’università), salvo poi travestirsi da avanguardista del terzomondismo? Non ci si poteva fidare, invece c’è chi si è fidato.

A partire dal Pd (pronto, Goffredo Bettini?), che ha enormi responsabilità nell’aver concesso agibilità politica al M5s (pronto, Dario Franceschini?) e a Conte (pronto, Nicola Zingaretti?). Non solo: l’ha concessa anche a chi adesso viene spacciato per un lib-dem riformista, quel Luigi Di Maio che s’è tolto il gilet giallo giusto in tempo per eseguire l’Inno alla Gioia. 

Sicché rimettere i cocci insieme, adesso, diventa complesso. A parlare con Draghi, per un’ultima mediazione, i Cinque stelle hanno mandato il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico d’Incà, all’occorrenza ministro per i rapporti con il Movimento. Non è andata bene, chissà che cosa si aspettavano che dicesse o facesse Draghi. Non è mica Ciampolillo.