Covid, Miozzo spera in Draghi: "Il timone alla Protezione civile"

"Serve un’organizzazione efficiente. La scuola? Oggi il problema non sono gli adolescenti ma i bambini"

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Agostino Miozzo, 68 anni, coordinatore del comitato tecnico scientifico. Medico, da Sesto San Giovanni all’Africa al mondo. Uomo delle emergenze. L’identikit del generale invocato da Riccardi, consulente di Speranza, per una svolta sulla pandemia.

Si aspetta che con il governo Draghi la ‘sua’ protezione civile diventi davvero protagonista?

"Mi auguro sia più coinvolta. Come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio".

Lei ha sempre insistito: per sconfiggere il virus, serve un’organizzazione militare.

"Spero che il presidente... Intanto sulla scuola ha già fatto dichiarazioni coraggiose".

L’ha messa al centro.

"Al centro dell’attenzione e come priorità politica. Difficile sentire un presidente del Consiglio che fa affermazioni così. Soprattutto perché è un premier con una formazione da economista. Un uomo della cultura del business. Evidentemente ha capito che anche da quel punto di vista, la scuola è fondamentale. O diventi competitivo o sei tagliato fuori".

Dovremo chiudere le scuole?

"Laddove è necessario, laddove si identifichino cluster epidemici, sì. Non si devono chiudere per forza o per principio. Se ci sono evidenze, è ovvio. La scuola è un ambiente vulnerabile, come qualsiasi altro".

Quindi immagina un modello flessibile, come quello dei colori delle Regioni?

"Sostanzialmente è così. Altrimenti dovremmo chiedere al governo di copiare la Merkel, chiudere tutto il paese, dichiarare zona rossa per un mese".

Ma lei stesso ha detto: non possiamo permettercelo.

"Appunto. Ci sono i colori, in base a quelli si decidono le restrizioni. Allora, anche se sei giallo e identifichi un cluster epidemico in una scuola, quella scuola va chiusa. Non per questo tutta la regione diventa arancione. Perché potrebbe essere un episodio singolo, per una o due settimane".

Per fare questo, bisogna avere le idee chiare subito.

"Serve un sistema sanitario che faccia un vero pronto intervento. C’è un cluster? Si fanno i tamponi a tutti, si chiude provvisoriamente e poi si vede".

Bisogna organizzarsi.

"Io chiedo da sempre la presenza di un servizio sanitario a scuola. Non è importante che sia un medico o un infermiere".

Lei è sempre stato un sostenitore delle lezioni in presenza. Ha fatto notare le contraddizioni dei centri commerciali aperti e degli istituti chiusi.

"Scelta che non ho mai condiviso. Poi certo, fino alla variante inglese non sembrava che i bambini sotto i dieci anni fossero soggetti all’infezione. Dopo, è cambiato tutto".

Finora elementari e materne non hanno mai subìto interruzioni. Tenendosi alla larga dall’ipocrisia, tutti sanno che è stato soprattutto per dare respiro ai genitori. Mentre ci si è accaniti sugli adolescenti.

"È così. Gli studenti delle superiori sono stati sacrificati perché si identificava in loro una popolazione ad alto rischio, soprattutto per i comportamenti fuori dalla scuola".

Invece il problema erano e restano i mezzi affollati.

"Sono sempre stato dell’idea che bisogna essere molto prudenti nell’identificare la scuola come focolaio. Il focolaio d’infezione è l’autobus, il bar della piazza dove tutti si vedono per fare l’aperitivo".

I ragazzi più grandi sono più gestibili dei bambini.

"La scuola è un polo di educazione con regole precise. Uno, ti devi mettere la mascherina; due, ti devi lavare le mani. Tre, devi stare distanziato perché i professori ti guardano. Quale luogo più adeguato per essere formati a un percorso di attenzione al virus".

Bassetti ha detto: gli adolescenti si trascineranno per anni le conseguenze di questo periodo. Sarà la nostra generazione Vietnam.

"Sono d’accordo. Lo vediamo già. Psicologi, psicoterapeuti lo stanno dicendo. Ansia, turbe del sonno... Per arrivare all’autolesionsmo, fino ai punti estremi".

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