Domenica 8 Dicembre 2024
ANDREA ZANCHI
Politica

L’opposizione di Bologna: cortei, Città 30, alluvione. Il Comune sfida il governo

La frase sulle “camicie nere mandate” da Roma è solo l’ultimo atto. L’antagonismo tra il sindaco emiliano e l’esecutivo è sempre più acceso. Salvini: dal primo cittadino dichiarazioni farneticanti, condanni gli incidenti

Bologna, 13 novembre 2024 – Se è vera la tesi per cui l’Italia, fondamentalmente, è un Paese di destra, allora qualcosa deve essere andato storto in Emilia-Romagna e, nello specifico, a Bologna. L’ultima dimostrazione arriva dallo scontro frontale tra la città delle Due Torri e il governo sulla manifestazione della Rete dei Patrioti e sui tafferugli che ha generato. Una reazione che si è prima manifestata nelle piazze – dal presidio non violento con partiti e Anpi, alle manifestazioni non autorizzate degli antagonisti, che sono come al solito sfociate in scontri con la polizia – e che poi si è spostata sul piano istituzionale, con il sindaco Matteo Lepore che ha accusato il governo di “avere mandato in città trecento camicie nere”, affondo che ha generato un cortocircuito istituzionale senza precedenti con Viminale e Questura.

Un momento degli incidenti tra collettivi e polizia di sabato a Bologna; nel riquadro, il sindaco Matteo Lepore
Un momento degli incidenti tra collettivi e polizia di sabato a Bologna; nel riquadro, il sindaco Matteo Lepore

E che, inevitabilmente, ha provocato le dure risposte della premier Giorgia Meloni (“Lepore ha due facce: in privato mi chiede collaborazione, a favore di telecamera mi dà della picchiatrice fascista”) e degli alleati di governo, in testa uno scatenato Matteo Salvini (“dal sindaco di Bologna solo dichiarazioni farneticanti e nessuna condanna degli scontri: questo è un problema di sanità, non di politica”).

Non che a Palazzo Chigi e dintorni non se ne fossero accorti, di questa peculiarità che corre – apparentemente unica in tutta la Penisola – sulla via Emilia: è almeno dal maggio del 2023 infatti, ovvero dall’alluvione che ha devastato la Romagna e parte della provincia bolognese, che il conflitto tra governo centrale ed enti locali (tutti a guida Pd e alleati) va avanti in uno stillicidio quotidiano di polemiche, attacchi e contrattacchi. Con, sullo sfondo, un unico grande quesito irrisolto, quello delle risorse e di chi deve farle arrivare ai territori e alle popolazioni che, nel frattempo, di alluvioni hanno fatto in tempo a viverne altre due.

Come dimenticarsi, poi, del braccio di ferro sulla Città 30 adottata da inizio anno da Bologna, che ha provocato la reazione immediata del ministero dei Trasporti e minacce e circolari per disapplicare la norma? (In piazza della Croce Rossa, per inciso, possono dormire sonni tranquilli, anche se ieri il Tar ha dichiarato inammissibile il ricorso di due tassisti contro le ordinanze del Comune. A neutralizzare il provvedimento ci hanno già pensato i bolognesi: il limite dei 30 non lo rispetta quasi più nessuno). Ed è impossibile dimenticare che le prime pesanti contestazioni al governo Meloni – con tanto di fantoccio della premier a testa in giù – avvennero proprio a Bologna nell’autunno di due anni fa.

“Altro che Stati Uniti, il vero red wall è qui sulla via Emilia” commenta amaro un dirigente di centrodestra giocando i colori delle mappe elettorali che hanno (ri)consegnato la presidenza a Donald Trump. Lettura forse un po’ troppo pessimista, ma alla fine non così distante dalla realtà: se c’è anche solo l’ombra del nemico ‘nero’, in Emilia-Romagna la reazione da sinistra scatta in automatico. E riesce ancora a mobilitare un elettorato sempre più stanco e disamorato della politica. O almeno questo è ciò che sperano nel centrosinistra e in quella che il sindaco Lepore ha ribattezzato la “città più progressista d’Italia”. Di sicuro, la più anti-meloniana che esista, almeno per ora, qui in Italia.