Lunedì 28 Aprile 2025
COSIMO ROSSI
Politica

Clemente Mastella: “Ma la politica è passione. Chi ce l’ha non si rassegna”

Il vecchio leone Dc, ex ministro e deputato, ora è sindaco di Benevento: “Le contestazioni? Fanno parte del gioco. Se non sei abituato meglio mollare”

Clemente Mastella: “Ma la politica è passione. Chi ce l’ha non si rassegna”

Roma, 13 aprile 2025 – È una passione. E chi ce l’ha continua a viverla finché ce l’ha, invece di rassegnarsi al declino dell’età”. Nessuno meglio di Clemente Mastella – classe 1947, ininterrottamente parlamentare a Roma e Bruxelles dal 1976 al 2014, ministro del Lavoro nel primo governo Berlusconi e della Giustizia nel secondo governo Prodi, due volte sindaco della natia Ceppaloni a fine anni ‘80 e poi nel primo decennio dei 2000, infine sindaco di Benevento dal 2016 – può descrivere cosa spinga la classe politica a non farsi indietro. I governatori Zaia e De Luca sono indaffarati a rimanere comunque in campo a prescindere dal no al terzo mandato, l’ex governatore Vendola torna in lizza alla guida delle liste di Avs. Cos’è che induce a rimanere e tornare sempre in gioco? “Come chi scrive, chi studia, chi fa il giornalista, il medico o il ricercatore, la politica è una passione. E chi ce l’ha preferisce continuare a coltivarla invece di rassegnarsi all’inerzia della vita verso la maturità. Di norma, chi rompe si chiama fuori perché gli viene imposto da altri, per vicissitudini giudiziarie o altre vicende in cui si trova triturato, e allora si dice ‘chi me lo fa fare’. Ma la politica è una passione. E chi può continua a viverla e viverne finché gli è possibile”.

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Clemente Mastella, 78 anni, sindaco di Benevento è stato più volte ministro e parlamentare (Ansa)

Un demone insomma? A costo anche di affrontare contestazioni per l’attaccamento al potere? “Le contestazioni fanno parte del gioco. Devi saper subire improperi, valutazioni negative, platee ostili. Se non ci sei abituato è meglio non fare politica”. Come quando Fanfani nel 1982 rimbrottò i fischi del congresso Dc rispondendo che se negli anni ‘40 avesse avuto paura dei fischi “voi non sareste qui”? “Fanfani era Fanfani. Avercene oggi”. Renzi è forse colui che ha più cercato di seguirne le orme... “Quando Fanfani perse il referendum sul divorzio si fece da parte. Renzi è un’anatra zoppa per la semplice ragione che, avendo legato il suo destino a referendum istituzionale, poi è rimasto nel guado. Una grammatica invalidante. Se dici una cosa e poi ne fai un’altra finisci per pagare dazio, in quanto un minimo di coerenza è essenziale agli occhi degli elettori anche alla cosiddetta arte del possibile della politica. Gli sarebbe servita un po’ di esperienza nella Dc”. A partire dal suo stesso insediamento come sindaco, non le pare che si stia formando una sorta di potere feudale locale a scapito dei partiti e della capacità di rinnovare le amministrazioni? “L’acquartieramento sul territorio, se riesci a presidiarlo in maniera intelligente, è la base di consenso più solida. Non mi esimo certo dalla questione. Io ho sempre guardato al territorio come ragione per dare una speranza alla cittadinanza, a partire da situazioni molto complicate e a volte drammatiche del Mezzogiorno. Sul piano nazionale invece il rapporto col consenso è più fluido. Se sbagli a livello locale ti puoi rimettere in corsa correggendo gli errori. Mentre a livello nazionale per le leadership è più complicato risollevarsi”. Avendo fondato diverse forze centriste, cosa ne pensa delle manovre federative in corso? “Non c’è nessun federatore all’orizzonte, Anche perché dovrebbe arrivare dal di fuori della piccola mischia di cui è fatto il centro. Renzi e Calenda si sono dimostrati incauti, lasciando deperire a causa della loro incapacità di convivere una linea di condotta che aveva riscosso un seguito elettorale notevole e dimostrandosi entrambi dei mezzi leader”. Dunque il bipolarismo che forse caratterizza l’Italia dal 1948 è più che mai solido? “Siamo passati dal bipartitismo imperfetto, come lo ha definito il politologo Giorgio Galli, a un bipolarismo imperfetto. Tutte le presenze in scena sembrano dar conto di questo. Pensiamo solo alla politica estera, che fende trasversalmente i due schieramenti con atteggiamenti puerili e urlati sia sul merito che nel metodo”.