Chi ha vinto le elezioni 2022: gli sconfitti sono più di uno. L'analisi ragionata

Quando si recano alle urne nove milioni di cittadini il voto non è mai banale. Nessuno può cantare davvero vittoria, tranne uno

Quando si recano alle urne nove milioni di cittadini il voto non è mai banale. E così non è stato. I verdetti giunti da referendum e primo turno delle elezioni comunali 2022 hanno parlato chiaro, e non sono stati una bellissima musica per molte orecchie. A rallegrarsi più degli altri è forse Calenda, che mette a segno qualche discreto risultato, e vede pian piano far breccia l’idea di una sorta di una forza di interposizione - una volta si sarebbe chiamato il terzo polo - in mezzo a quelli che lui definisce i "bipopulismi". Non del tutto scontenta sarà anche Giorgia Meloni, anche se per lei le preoccupazioni non mancheranno.

Carlo Calenda, leader di azione (Ansa)
Carlo Calenda, leader di azione (Ansa)

Il centrodestra, e in particolare Lega e FI, non può cantare vittoria per il risultato nei referendum, e a ben guardare neppure per le comunali. Il referendum è stata una debacle, e l’affluenza più bassa di sempre (senza la concomitanza con le amministrative i partecipanti non sarebbero andati oltre il 15/16 per cento) su uno dei temi storici dell’alleanza è un autogol difficile da digerire.

Ne esce certamente peggio Matteo Salvini che li ha promossi in prima persona, ma anche Forza Italia storicamente campione di garantismo non può rallegrarsi, e neppure in fondo in fondo Fratelli d’Italia riesce a esultare. La Meloni non è tra i promotori, certo, ha sostenuto solo tre quesiti su cinque, ha mantenuto sull'argomento un certo prudente distacco, e quindi salva meglio la faccia, ma in quanto partito a questo punto di riferimento della coalizione si prende qualche ammaccatura pure lei. Se tutti gli elettori di Fd'I fossero andati a votare, la percentuale sarebbe forse stata maggiore di quella riscontrata.

Il punto è che nella vicenda referendum il centrodestra non ha ragionato da coalizione, in primis per colpa di Salvini, ma ha lasciato che ognuno facesse da sé e per sé, e i frutti raccolti sono questi. Evidenziando come la compattezza interna sia allo stesso tempo il suo più e il suo meno.

E qui casca l'asino, anche per le comunali e nella prospettiva politica da ora a un anno. La coalizione va bene infatti dove riesce a giocare da squadra, ma è proprio la compattezza che negli ultimi anni è venuta meno. Da quando il baricentro berlusconiano è scemato d’importanza si è scatenato il derby interno Salvini-Meloni, che non promette niente di buono. La buona prova della Meloni al Nord, tradizionale feudo leghista, non fa intravedere tempi tranquili, e la competizione è destinata a crescere di intensità. La Meloni può certo essere più contenta, ma attenzione perché l'eccesso di agonismo interno è un rischio reale, e le cattive prove del centrodestra alle amministrative dell’ottobre scorso e nella partita del Quirinale sono state frutto avvelenato di questo vizio. Il voto delle amministrative chiama il centrodestra ad adottare proprio lo schema (il gioco di squadra) dove però ha dimostrato più difficoltà. Sfida complessa, più facile a dirsi che a farsi. Nessuno dei partner può dormire così sonni leggeri. 

Non può però esultare troppo neppure il Pd. Sul referendum Letta ha ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo (come era accaduto per il Quirinale e per le amministrative scorse) ma è la prospettiva politica dei dem a finire in crisi. Al di là di qualche successo qua e là, emerge infatti sempre di più che l’asse con i Cinquestelle non funziona, semplicemente perché non funzionano i Cinquestelle, ormai prossimi all'estinzione politica.

Specularmente vanno bene i centristi del centrosinistra, e in particolar modo Calenda. Quelli, per l’appunto, che si sono fatti spazio al grido di "mai con i grillini", e che hanno preso voti proprio per essersi posti come l’antitesi ai due populismi, uno dei quali rappresentato da Conte. Di qui a marzo prossimo, per le politiche, Letta deve in sostanza scegliere: restare uniti alla stella cadente dei grillini, o abbandonarli per una forza ora di minore consistenza ma in crescendo? Probabile che il segretario dem cercherà di tenere tutti insieme, nel suo 'Campo largo', ma non sarà facile riuscirci. È proprio quello che Calenda non vuole.