Chi sono gli autori del Draghicidio: tre nomi per un 'delitto' quasi perfetto

Conte ha aperto le danze, Berlusconi e Salvini finiscono il lavoro in Aula. Le ragioni? Un mix di politica estera, rapporti con Putin e ambizioni personali

Roma, 21 luglio 2022 - Il Draghicidio, perché alla fine di quello si tratta, ha tre autoriGiuseppe Conte, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, che, con vario grado di responsabilità, hanno concorso a determinare la fine del governo di unità nazionale guidato dall’ex numero uno della Bce. E se ci trovassimo dentro un giallo politico internazionale, pur non essendo complottisti e dietrologi, dovremmo comunque ammettere che i tre hanno "oggettivamente" un riferimento in comune, Vladimir Putin, e posizioni in parte assimilabili sul conflitto russo-ucraino, a cominciare dal no alle armi a Zelensky, che ha accomunato in questi mesi principalmente il capo della Lega e il leader grillino.

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Il leader della Lega Matteo Salvini, 49 anni, ieri davanti a Palazzo Madama
Il leader della Lega Matteo Salvini, 49 anni, ieri davanti a Palazzo Madama

In realtà, però, la politica estera è solo uno dei terreni che hanno visto contrapposti soprattutto Salvini e Conte, da un lato, e Draghi, dall’altro. L’ex avvocato del popolo ha vissuto l’arrivo di SuperMario a Palazzo Chigi come un’usurpazione: e, d’altra parte, non ha mai fatto mistero della 'antipatia' verso il suo successore. Tant’è che da subito è partita la guerriglia dei 5 Stelle sui molteplici fronti aperti, che sono quelli finiti nella lettera dei 9 punti della settimana scorsa: dal salario minimo al superbonus al Reddito di cittadinanza. Conte e quelli a lui più vicini sono stati sempre convinti, per di più, che Draghi abbia svolto un ruolo non secondario nel sostenere il contropotere interno al Movimento di Luigi Di Maio, fino alla scissione di qualche settimana fa, considerata più o meno apertamente una manovra per neutralizzare l’ex premier. A dire della rabbia mai sopita di Conte verso Draghi basti considerare che non hanno sortito effetti neanche gli appelli e le pressioni sotterranee, in nome del campo largo, dei vertici del Pd perché l’uomo di Volturara Appula facesse marcia indietro negli ultimi due giorni: tant’è che non si è fermato neanche quando Lega e Forza Italia si sono assunte l’incarico del colpo finale al governo.

E qui si apre il capitolo sul secondo autore del Draghicidio, Salvini. In questo caso, però, a far premio nello spingere il capo leghista verso quello che poteva essere il suo nuovo Papeete (e non si può dire se alla fine non lo sarà) non ha contribuito il rapporto personale: anzi, non manca chi racconta di una sorta di reciproca simpatia tra lui e il premier. Ma l’ex ministro dell’Interno del governo giallo-verde ha sempre vissuto male la concorrenza di Giorgia Meloni: a maggiore ragione con l’avvicinarsi delle elezioni e la crescita della leader di Fratelli d’Italia nei sondaggi. Al punto che si preparava – secondo indiscrezioni – ad annunciare l’uscita dalla maggioranza in occasione del raduno di Pontida. Tant’è che ha puntato a cogliere l’occasione creata da Conte per realizzare il progetto.

A questo punto solo Berlusconi, che indicò Draghi come governatore della Banca d’Italia prima e come Presidente della Bce dopo, poteva 'salvare' l’esecutivo di unità nazionale: bastava dissociarsi dalla spinta del leader leghista. Ma non l’ha fatto: e non sono serviti i buoni uffici di Gianni Letta, da sempre trait d’union anche tra il Cavaliere e il banchiere centrale. Ci sarebbe da sorprendersi, se non fosse che per due elementi in campo: il numero uno di Forza Italia sente come nessuno il profumo della possibile vittoria. E, a ben vedere, non ha mai perdonato al vecchio "amico" la lettera dell’agosto 2011, firmata da lui e da Jean-Claude Trichet, che fu all’origine della fine del suo ultimo governo.