Chi è al carcere duro 41 bis: un esercito di mafiosi e gli irriducibili delle Br

La misura pensata per sedare le rivolte acquisisce la sua funzione attuale dopo Capaci. Cella singola, visite e contatti ridotti al minimo

A ottobre i detenuti in regime di 41 bis erano 728, reclusi in 12 penitenziari: sono quasi tutti membri di organizzazioni mafiose. Sono principalmente appartenenti alla Camorra, a Cosa nostra, alla ‘ndrangheta, alla Sacra corona unita e alla altre mafie, ma ci sono anche tre terroristi.

Una delle scritte comparse nelle città iitaliane sulla vicenda di Alfredo Cospito
Una delle scritte comparse nelle città iitaliane sulla vicenda di Alfredo Cospito

All’Aquila, dove c’è il carcere d’Italia con il più alto numero di detenuti al 41 bis, e l’unico con la sezione femminile, è detenuta la brigatista Nadia Lioce all’ergastolo per gli omicidi di Biagi e D’Antona, ed è stata trasferita la boss Maria Licciardi, ‘Lady Camorra’. Altre sezioni di 41bis sono a Milano Opera, Parma, Cuneo, Sassari, Spoleto, Novara, Nuoro, Roma Rebibbia, Viterbo, Terni, Tolmezzo. Tra i 41 bis ci sono ovviamente boss mafiosi Matteo Messina Denaro (a L’Aquila), Leoluca Bagarella (a Sassari), e ancora Filippo Graviano, Carlo Greco, Sandro Lo Piccolo. Molti anche i camorristi da Francesco Chiavone detto ‘Sandokan’ a paolo Di Lauro. E ’ndraghetisti come Pasquale Condello ’u supremu.

Il regime di 41 bis è una peculiarità italiana dovuta al fatto che in Italia vi è un forte radicamento di organizzazioni criminali mafiose, i cui capi tendono a comandare anche dal carcere. E il 41 bis lo ha reso se non impossibile, quasi. La disposizione venne introdotta dalla cosiddetta legge Gozzini nel 1975, ma era pensata solo per le rivolte carcerarie. La norma aveva quindi una finalità preventiva nei confronti di situazioni di pericolo esclusivamente interne al carcere.

Dopo la strage di Capaci nel 1992, l’attentato a Giovanni Falcone, all’articolo si aggiunse un secondo comma che ne estese l’applicazione ai boss. Fu pensata come norma emergenziale e transitoria, per tre anni, ma proprio vista la sua efficacia, nel 2002 la norma divenne definitiva e applicabile a membri di associazioni "criminali, terroristiche ed eversive". Il potere di emettere i decreti di applicazione o proroga della misura provvedimenti di applicazione del regime speciale sono adottati con decreto motivato del Ministro della Giustizia, dopo aver sentito il parere "del pubblico ministero che procede alle indagini, ovvero di quello presso il giudice che procede".

Il regime in 41 bis può essere revocato sostanzialmente in due ipotesi: scadenza del termine senza che sia disposta la proroga; ordine del tribunale di sorveglianza in caso di reclamo al quale dovesse seguire una decisione di illegittimità del provvedimento. Fino al 2009 era inoltre possibile la revoca per opera dello stesso Ministro della Giustizia nel caso in cui i presupposti che avevano giustificato il carcere duro fossero venuti a mancare, eventualità non più contemplata. La Corte Costituzionale che, tra il 1993 e il 2002, è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla sua legittimità non ha mai censurato la legittimità del 41 bis, riconoscendone l’utilità nel contrasto al fenomeno mafioso

Pur non essendo uscito sempre indenne dal vaglio di Strasburgo (si pensi al profilo dei controlli sulla corrispondenza del detenuto, la cui disciplina – ritenuta in contrasto con l’art. 8 Cedu, la Convenzione europea sui diritti dell’uomo – è costata diverse condanne al governo italiano), il 41 bis è stato sino ad ora ritenuto compatibile con l’art. 3 della Convenzione, che vieta la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. La sua applicazione però deve essere motivata, provata e sussistente per evitare che come accada come nel 2016 per il boss Bernardo Provenzano per il quale la corte di Strasburgo ritenne non motivata l’applicazione (in quel caso per un rinnovo della misura) visto il grave deterioramento delle condizioni di salute (anche cognitive) del detenuto.