Grillo & Conte, divorzio alla grillina. C’eravamo tanto amati (fino al vaffa)

Il comico improvvisatore e l’avvocato calcolatore: leader troppo diversi per coesistere. La scissione è inevitabile

Beppe Grillo

Beppe Grillo

"Conte ha bisogno di me". "Ma io non faccio il prestanome". Alla fine, giurano i più dentro un M5s mai così balcanizzato come ora, si dovrà trovare un modo per far coesistere "l’avvocato" e "l’elevato". Perché – si spiega – non c’è alcuna convenienza a provocare un’ulteriore frantumazione di quel che resta, ormai, del partito di maggioranza relativa che sostiene il governo Draghi. Ma se sarà, sarà quasi un miracolo. Giuseppe Conte e Beppe Grillo sono antitetici, l’uno freddo, a tratti anche calcolatore, molto attento ai dettagli, moderato, cattolico, tradizionalista, l’altro improvvisatore, imprevedibile, visionario sì, ma anche capace, come si è visto con il caso del figlio Ciro, di mettersi nei guai da solo, con reazioni "di pancia" tutt’altro che ponderate, errori mediatici – e non solo – che Conte non farebbe mai.

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Ecco, se non fosse per il fatto che, comunque, è stato proprio Beppe Grillo, nel marzo scorso, a cercare Conte per investirlo del ruolo di "rifondare" il M5s, elemento che ha subito messo sulle spalle dell’ex premier la sfida pesante di far uscire per sempre il partito dal ruolo scomodo di fomentatore dell’antipolitica, si sarebbe potuto pensare che tra i due mai nulla di buono sarebbe potuto nascere: troppe distanze. Invece, ecco Grillo che stupisce e che chiede a lui, al più moderato dei suoi, di traguardare il Movimento verso un obiettivo ambizioso, quello del 2050, che dovrà essere l’anno del punto d’arrivo della svolta ecologista. Mondiale, se possibile. Con il "nuovo" M5s a far da locomotiva a quella in Patria.

È stato amore, tra i due, almeno per un attimo, almeno su questo obiettivo? Di sicuro è stata folgorazione per Conte, che si è imbarcato nell’opera con impegno. E investimento per Grillo, che così ha pensato di salvare la sua creatura da morte politica certa, derivante dalle troppe abiure e dalle troppe giravolte, ripetute nel tempo, rispetto ai granitici principi del passato, dall’"uno vale uno" in poi.

L’ex premier e leader designato ha quindi fatto pulizia, ha risolto il nodo con Rousseau, provocato l’uscita del figlio del fondatore, da sempre troppo legato al fatturato della sua azienda più che ai principi del padre Gianroberto e al mito della democrazia diretta. Poi ha riscitto lo Statuto. E lì, in un tavolo pieno di legali, da Conte stesso al nipote di Beppe, che da sempre lo segue come legale di fiducia, quella folgorazione nata sulla spiaggia di Marina di Bibbona è andata in frantumi. Sono volati gli stracci, "io non sono un coglione!", "io non faccio il prestanome!", le parole più tenere tra i due, per giunta sputate a distanza e davanti a testimoni, con al centro un Luigi Di Maio a far da pompiere, ma con incerta fortuna.

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Non si sa come finirà la partita, se mai si riuscirà a trovare un modo per rincollare i cocci almeno di un’amicizia e non considerare insanabile "lo screzio" sul ruolo statutario del fondatore, in tono minore, che Grillo ha considerato un vero insulto.

Ma se così non sarà, il M5s probabilmente cesserà di esistere. Nascerà un partito guidato da Conte con alcuni volti storici come Paola Taverna, Stefano Patuanelli, Federico D’Incà e lo stesso Luigi Di Maio. Grillo si terrà il simbolo e continuerà per la sua strada, con accanto qualche duro e puro, ma anche personaggi come Carla Ruocco, da sempre fedele a lui e solo a lui.

E poi Davide Casaleggio, con Alessandro Di Battista, batterà la strada delle "radici" grilline, quelle di una politica che solletica la pancia del popolo arringando le piazza, che si propone di rovesciare sempre e comunque il potere, soprattutto quello di chi ci si è trovato comodo e ci è voluto restare, abbracciando l’eresia dell’abbattimento del limite dei due mandati: un tempo quelli lì "Dibba" li chiamava fratelli.

Tre partiti da quello che era uno, al 35%, potenza di fuoco apparentemente inesauribile. Che invece pare esaurito, di botto, così com’era nato: con un "vaffa".