Autonomia regionale, l’assalto della Lega

Oggi la riforma in Cdm. "Intesa col Veneto, parte delle tasse resterà sul territorio"

Salvini al parco con la figlia. Indossa il un giaccone della polizia (Ansa)

Salvini al parco con la figlia. Indossa il un giaccone della polizia (Ansa)

Roma, 14 febbraio 2019 - Al terzo giorno Di Maio è risorto. Lo annuncia con un pizzico di ironia il suo socio e rivale: "Ho visto Luigi: sta bene". Ma è stato un incontro fugace a Montecitorio, "tra amici" e non un vertice, utile comunque al vicepremier leghista per piazzare paletti: "Non ci sono problemi di caduta del governo che va avanti serenamente, non c’è bisogno di argini contro Tizio e Caio". Peraltro non basterebbe un summit a risolvere i nodi che si sono intrecciati in questi giorni e finiranno nell’imbuto del consiglio dei ministri odierno. Una lunga lista: si parte dall’autonomia, unico punto veramente non sacrificabile per la Lega, per approdare alla Tav – dove la partita è più che mai aperta – passando al reddito di cittadinanza da limare, fino alla nomina del presidente dell’Inps. Sullo sfondo, resta la questione dell’autorizzazione a procedere per Salvini: da vedere se verrà affrontata nella riunione convocata per le 7 di sera.   Naturalmente, il Carroccio vuole monetizzare il successo abruzzese, portando presto a casa l’autonomia "rafforzata" di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. "I testi sono pronti", avverte il ministro per gli Affari regionali Erika Stefani. Ci sono però ancora "nodi politici" da sciogliere sulle competenze da trasferire "a costo zero". Sì, perché alcuni ministri grillini – i titolari dei dicasteri delle Infrastrutture, Salute, Cultura e del Lavoro – non vogliono cedere pezzi di sovranità su alcune materie (dalle autostrade alle sovrintendenze, dagli ammortizzatori sociali ai ticket). Sull’altra parte della barricata, il governatore veneto Zaia fa sapere che non accetterà compromessi al ribasso, ovvero firmerà se ci sono tutte le 23 competenze richieste dalla sua regione: ieri avrebbe già chiuso un’intesa con il viceministro dell’Economia Garavaglia e il ministro Stefani sulla parte finanziaria e la compartecipazione delle imposte.

Il Carroccio fa quadrato, pronto a rilanciare anche la battaglia finanziaria dei ‘suoi’ presidenti, che vogliono una clausola di garanzia per trattenere parte del reddito Irpef oggi girato allo Stato. Ragion per cui il premier si prenderà altro tempo, forse un mese, per trovare un compromesso. Quasi certamente è il braccio di ferro fra la Lega "nordista" e M5S schierato con le regioni del Sud ostili alla riforma, a spiegare le mine piazzate dai salviniani in Senato sul reddito di cittadinanza. Una serie di emendamenti tipici della guerriglia parlamentare per far capire agli alleati che si tratta di uno scambio che va onorato al 100 per 100. "Pacta sunt servanda", sottolinea la Stefani. I patti vanno rispettati. Il mercanteggiamento terrà banco nelle prossime settimane, ma ancora più dominerà nella maggioranza giallo-verde lo scontro sulla Tav. Sì, perché l’analisi-costi benefici non risolve ma aumenta i litigi: a metterci il carico da undici provvede anche Bruxelles, che entra in campo con la commissaria ai trasporti Violeta Bulc per chiedere che l’opera venga realizzata. A nulla serve il muro alzato dai grillini sullo studio degli esperti di Toninelli che giustifica la cancellazione dell’investimento: la Lega non sente ragioni. "Per il no bisogna rivedere il contratto", avverte il ministro Centinaio. Siccome anche un referendum regionale sarebbe una resa "mascherata" per i pentastellati, la lite è tanto radicale da suggerire di rinviare la scelta a dopo le europee, per evitare che il governo cada prima. Non casualmente Conte avverte: "La decisione verrà presa nelle prossime settimane".    In contemporanea, si gioca la partita sul processo a Salvini per la Diciotti. Il presidente della Giunta, Gasparri (FI), chiede al Senato di non autorizzare la richiesta di magistrati e fa inviare alla procura di Catania gli atti firmati dal premier, da Di Maio e da Toninelli. Entro il 19 la giunta dovrebbe esprimersi e i 5stelle – pur tra mille tormenti – sono orientati a votare no: "Gli attivisti capirebbero", spiega Giarrusso (M5S). Ma nella confusione mentale che domina l’esercito pentastellato dopo la batosta di domenica tutto è possibile.