Draghi presidente della Repubblica: le condizioni del premier per Quirinale e governo

Draghi contatta direttamente i leader dei partiti: l'incontro con Salvini. Se salirà al Colle, in pole per la successione c’è la Belloni. Il piano B è Mattarella o Amato

Mario Draghi, presidente del Consiglio (Ansa)

Mario Draghi, presidente del Consiglio (Ansa)

Roma, 25 gennaio 2022 - Finalmente il premier, Mario Draghi, fa quello che Matteo Renzi – e pure tutti gli altri leader – gli chiedevano di fare da giorni, anzi settimane: apre le porte di palazzo Chigi (a Matteo Salvini) e alza il telefono con tutti gli altri leader (Enrico Letta in testa) per venire a capo del busillis che, da altrettanto tempo, arroventa le menti di tutti, leader e peones: se lui va al Colle, chi va a Chigi?

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Il guaio è che non tutti i conversari di Draghi vanno a buon fine, almeno non subito. Quello con Matteo Salvini, per dire, va meno che bene. Anzi, va assai male. L’interpretazione – ma di fonte Pd – è che Salvini stia in realtà fingendo di trattare con Draghi per sabotarne la candidatura, affossarla.

Il leader della Lega punta i piedi: vuole il Viminale, nel pacchetto che sta trattando per dare vita a un nuovo governo e, in cambio, accettare di spedire Draghi al Colle, e non per il suo fidato braccio destro, Nicola Molteni (assai attivo nei dialoghi con i dem, ieri, alla Camera), ma proprio per sé. "Perché Matteo, dal Viminale, la campagna elettorale la farebbe più che bene, benissimo" gonfiano il petto i suoi. Già, ma il Pd non è mica tanto per la quale, anche solo all’idea. Figurarsi quanto sarebbe contento Di Maio di vedersi sfilare gli Esteri che la Lega reclama in caso non ottenesse il Viminale. Il Capitano, poi, chiede di concordare il nome del premier futuro con Draghi. E qui la risposta dell’ex governatore Bce è netta: no, decido io.

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In ogni caso, dopo aver visto Salvini a palazzo (Chigi), Draghi si attacca al telefono e parla davvero con tutti: Letta (verso sera), Conte (a tarda sera), pure Toti (nel pomeriggio). Mancano solo, all’appello, Berlusconi (o Tajani) e Renzi. Il che, però, non depone a suo favore, anzi per nulla.

Tanto che Renzi, in pieno Transatlantico, ammonisce: "Draghi telefona? Bene, era ora. Un Presidente si fa con la politica facendo politica. Senza non c’è". Un ammonimento che sa tanto di siluramento.

Ma se, invece, Draghi andasse al Quirinale, se la manovra riuscisse, chi potrebbe andare al suo posto? Elisabetta Belloni, oggi a capo dei servizi, è data in pole position, anche perché la crisi – e, forse, la guerra – tra Russia e Ucraina è alle porte, e una diplomatica come lei tornerebbe utile. Ma per i big dei vari partiti il nuovo premier sarebbe un "pennacchio", un semplice orpello. Loro, più seriamente, trattano solo sui ministeri. Il Pd ne vuole quattro e Dario Franceschini – che lavora, invece, per candidare Casini al Colle, e che di Draghi è diventato ormai il vero nemico – potrebbe saltare. Mentre Guerini è lì, inamovibile, tutelato dagli alleati americani, europei, etc. Se, invece, la manovra di Draghi e le telefonate – fatte troppo tardi, in extremis – non dovessero aprirgli la strada verso il Colle, il premier, per restare al governo, chiede che Amato o Mattarella, e non altri, siedano al Quirinale. Altrimenti si dimetterebbe.

In ogni caso, filtra – da palazzo Chigi – una netta contrarietà a Casini, suo nuovo competitor, forse oggi il più temibile. "Ma dove vuoi che vada? – sbotta un big del Pd – con il Pnrr da fare, le crisi internazionali in atto e la pandemia da affrontare, dimettersi sarebbe da irresponsabili!". Si vedrà. Certo è che il responso della prima chiama andata in scena ieri in Aula, dicono che non ci sono i voti, per Draghi, pur se sotto forma di bianche, nei primi tre scrutini. Dal quarto scrutinio in poi si vedrà, ma c’è già chi vaticina che potrebbe stare "ben sotto i 600 voti", cioè pericolosamente vicino alla soglia dei 505.

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