Roma, 7 febbraio 2012 - ONOREVOLE Di Pietro, quand’è che voi del pool di Mani pulite capiste che sareste diventati protagonisti di una specie di rivoluzione?


«Guardi, io l’avevo capito almeno un paio di anni prima dell’arresto di Mario Chiesa...».

Aveva capito cosa?

«Che il fenomeno dalla corruzione era ambientale. Per me fu illuminante l’inchiesta su Lombardia informatica, e parliamo del ’90».

Quando, il 17 febbraio del ’92, arrestò Mario Chiesa aveva dunque capito che la Prima repubblica sarebbe caduta per via giudiziaria?

«Avevo capito che il sistema era marcio e che non poteva reggere a lungo. E infatti quando, ben prima dell’arresto, Mario Chiesa querelò per diffamazione il giornalista Nino Leoni che sul ‘Giorno’ aveva scritto una bella inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio, le confesso che indagai più sull’ipotesi di calunnia che su quella di diffamazione».

Sta dicendo che Mario Chiesa si scavò la fossa con le sue mani?

«In un certo senso... Anche se, per la verità, a scavare la fossa a Mario Chiesa fu Luca Magni, l’imprenditore che, stanco di pagare tangenti per ottenere l’appalto di pulizia, venne da me a denunciare tutto. Vuole che le dia una notizia?».

Prego.

«La data simbolo di Mani Pulite l’ho stabilita io».

In che senso?

«Dopo la denuncia di Magni, con i carabinieri organizzammo la trappola ai danni di Chiesa e per essere sicuro che il fascicolo sarebbe finito nelle mie mani fui io a dire a Magni che la finta tangente avrebbe dovuto consegnargliela proprio il 17 febbraio, giorno in cui sarei stato certamente di turno».

Dica la verità, vi sentivate investiti di una missione salvifica.

«No, affatto, pensavamo solo a fare il nostro mestiere e a svolgere l’attività giudiziaria dovuta».

Quello di Davigo, «rovesceremo l’Italia come un calzino», era un proclama politico...

«E infatti Davigo non ha mai pronunciato quella parole. E’ stato un giornalista a mettergliele in bocca».

Mettevate la gente in galera per farla parlare, roba da santa Inquisizione.

«Altra balla colossale. Il Tribunale della Libertà e la Cassazione hanno sempre riconosciuto che agivamo nel pieno rispetto della legge. A volte arrestavamo la gente solo per poche ore, quelle che ci servivano per andare avanti con l’inchiesta prima che ‘corrotto’ e ‘corruttore’ concordassero una versione di comodo».

Quando Craxi, alla Camera, denunciò il sistema di finanziamento della politica, lei cosa pensò?

«Che s’era fregato con le sue stesse mani: per me quella era soltanto una confessione e infatti gliela feci ripetere in aula durante il processo».

Sì, ma Craxi aveva detto la verità. Non la incuriosiva la natura del fenomeno?

«No, affatto. E poi che significa? Non è che uno è meno rapinatore se anche gli altri rapinano!».

Mai avuto l’impressione d’essere se non manovrato almeno strumentalizzato da qualche potere?

«No, mai. Mentre ho una montagna di documenti che provano i depistaggi e i tentativi di metterci a tacere o screditarci».

Il suo partito, l’Idv, sembra essere in media quanto a corrotti, significa che la sua è solo retorica o che la politica ha regole diverse da quelle della giustizia?

«Né l’uno né l’altro, a me ’sti discorsi fanno ridere. La politica non esiste, esistono gli uomini e sono gli uomini a mettersi in tasca i soldi. Personalmente, quando vedo qualcosa che non mi piace corro in procura e denuncio».

Borrelli e Davigo hanno detto che non è cambiato nulla da allora. Anzi, la corruzione è persino più diffusa.

«Noi abbiamo fatto la radiografia e scoperto il tumore, ma se poi i politici fanno leggi per depenalizzare i reati ed impedire le indagini, è chiaro che il tumore dilaga».

Voi del pool avete fatto la Storia, eppure non sembrate uniti né affiatati. E’ un’impressione sbagliata?

«Eravamo solo funzionari dello Stato che facevano il loro mesterie. Ci rispettavamo, ma non è che fossimo veri amici, a parte le inchieste non abbiamo mai fatto un granchè assieme».