{{IMG_SX}}ROMA, 10 giugno 2008 - La Cassazione ha confermato la condanna alle 'Iene' per aver violato la privacy di senatori e deputati con il test antidroga eseguito attraverso la prova del tampone in fronte su 50 deputati e 16 senatori.

 Per la Suprema Corte, i giornalisti autori del servizio non solo hanno violato la privacy dei parlamentari ma ne hanno pure danneggiato "l'immagine pubblica e l'onorabilità" visto che con questo test "tutti i parlamentari potevano essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti".


In particolare, ricostruisce la terza sezione penale con la sentenza 23086, Davide Parenti e Matteo Viviani erano stati condannati il 16 ottobre del 2007 dal gip del Tribunale di Roma per il reato previsto dall'art. 167 dlvo 196/2003 "per avere, in qualità di ideatori di un servizio televisivo avente ad oggetto il consumo di stupefacenti, proceduto, senza il consenso degli interessati e l'autorizzazione del garante, alla raccolta di dati personali sensibili, campioni organici di 50 deputati e 16 senatori, e alla successiva analisi per accertare l'eventuale traccia di sostanze stupefacenti".


Da qui la condanna del gip ai due giornalisti.
  Inutilmente 'Le Iene', condannate a una multa, hanno protestato in Cassazione sostenendo che il test antidroga fatto a deputati e senatori non poteva avere una rilevanza penale sia perchè la violazione del codice deontologico dei giornalisti è sanzionata in via amministrativa sia perchè, a loro dire, non avevano danneggiato i parlamentari.


La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile
il ricorso e ha ricordato che "gli imputati hanno diffuso la notizia che alcuni senatori e deputati, pure rimasti anonimi, erano positivi all'analisi per la individuazione di sostanze stupefacenti". Dunque, rilevano i supremi giudici, «l'informazione evidenziata che taluno, entro una circoscritta e determinabile cerchia di persone, faceva indebito uso di droghe».


Il servizio delle 'Iene', secondo gli 'ermellini',
è da censurare penalmente perchè "in tale situazione, tutti i parlamentari potevano essere indiscriminatamente insospettati di assumere stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera, nonchè l'istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed onorabilità".

 

Quanto al fatto che, a detta dei giornalisti, la prova del tampone non aveva arrecato un 'vulnus' in quanto i loro accertamenti non permettevano di associare l'esito del test a persone note, la Suprema Corte precisa che "la circostanza che il capo di imputazione non facesse riferimento a specifici soggetti trovati positivi all'esame non è decisiva".


Più in generale Piazza Cavour ricorda che il giornalista "può trattare i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso un loro comportamento pubblico". Condizione, questa, che, come rileva ancora la Suprema Corte "non è stata rispettata nel caso in esame nel quale i campioni biologici sono stati carpiti con un comportamento ingannevole e fraudolento".


In definitiva gli autori del servizio delle 'Iene' non hanno "disatteso una previsione contenuta nel codice deontologico ma nella normativa in materia di protezione dei dati personali".