{{IMG_SX}}Roma, 4 maggio 2008 - UNA MANO italiana dietro gli attacchi a Calderoli? L’interrogativo resta appeso su Palazzo Grazioli per tutto il giorno: in fin dei conti, è la tesi, i figli di Gheddafi stanno più in Italia che nel loro Paese. E possono essere stati in qualche modo guidati. Di questo, è quasi sicuro il Carroccio: a via Bellerio si parla apertamente di un suggeritore che avrebbe spinto Saif El Islam a sganciare il siluro contro l’ex ministro delle riforme definendo una «catastrofe» un suo ritorno al governo.

 

La posta in gioco è alta, il timore che vada all’aria l’accordo sulla squadra faticosamente raggiunto pure, e così intorno a Bossi si fa strada la tesi di una vendetta trasversale degli uomini più vicini a Berlusconi contro la Lega. Congetture che la dicono lunga sull’aria che tira in queste ore: i colonnelli azzurri reagiscono con indignazione alle accuse, anche se a loro volta confermano il sospetto che la matrice della ‘bombetta’ sia casalinga. E da cercare nell’area della maggioranza, non tra le pieghe dell’opposizione. Sia come sia, la miccia innescata l’altro ieri sembra destinata a spegnersi: nessuno ha voluto gettare benzina sul fuoco.

 

Le parole del figlio del leader libico non trovano sponde nel mondo arabo e nella comunità islamica italiana. Dalla Farnesina Massimo D’Alema pur ribadendo «l’amicizia» dell’Italia verso i Paesi arabi e mediterranei, puntualizza che «la formazione del governo è una questione interna italiana, regolata da precise disposizioni costituzionali». E in serata il presidente del Senato Renato Schifani ribadisce: le scelte sul governo spettano al Parlamento e «su questo la Costituzione parla chiaro».

 

UN «ALTOLÀ» all’ingerenza libica che risuona forte sia tra gli scranni della maggioranza sia tra quelli dell’opposizione. Con l’effetto di blindare Calderoli alla poltrona promessa. L’unica voce fuori dal coro è di Arturo Parisi (Pd) che si scaglia però contro Bossi, non contro il suo colonnello: «Come farà il senatur a giurare, da ministro, onore e fedeltà alla Repubblica se prima non avrà pubblicamente ritrattato le dichiarazioni antitaliane che ha appena rinnovato? E come farà An a fare i conti con questo atteggiamento?», si chiede il ministro uscente della Difesa. Pronta la replica di Ignazio La Russa, che dovrebbe succedergli sulla poltrona del dicastero di via XX settembre: «E’ con questi argomenti che hanno perso le elezioni. Continuano a dimenticare che la Lega ha già governato per ben cinque anni e i fatti dimostrano la lealtà di Umberto alla Repubblica».

 

Malgrado qualche irritazione espressa a titolo personale, è il numero due della Lega Araba Ahmad ben Helly a chiarire che la sua associazione valuterà nel merito «la politica del governo Berlusconi». Il resto, spiega, «sono solo speculazioni su candidature». Una posizione che raccoglie il plauso degli uomini più vicini al Cavaliere, determinato ad evitare di alimentare tensioni che potrebbero sfociare in una crisi diplomatica con il vicino nordafricano prima ancora che il governo si insedi. Se la Lega difende con le unghie e con i denti Calderoli, Alleanza nazionale — pur scagliandosi contro i diktat libici — sceglie una linea più prudente. Il timore, nel caso vada avanti lo scontro con Gheddafi, che la Libia faccia ponti d’oro ai clandestini che vogliono venire in Italia. «Bisogna cercare il dialogo tra Stato e religioni», s’affanna a spiegare Bocchino.

 

SULLA STESSA linea l’Islam italiano: Mohamed Nour Dachan e Mario Scialoja (membri della Consulta islamica presso il Viminale) giudicano «un’indebita invasione di campo» quella di Tripoli. «L’incidente del 2006, quello della maglietta con vignette antiislam è chiuso», garantisce il vicepresidente Yahya Pallavicini. Non è ancora chiuso, invece, per il Cavaliere il puzzle governativo: la bilancia della Giustizia pende ancora per Pera, in stand by Alfano e Vito. Incerto il futuro di quest’ultimo, visto che la casella dei rapporti con il Parlamento è attualmente occupata da Bonaiuti. Continua il braccio di ferro An-Fi sul Welfare: Gasparri insiste sul fatto che il posto tocchi a Ronchi, ma in gara c’è anche l’azzurro Sacconi. La mediazione potrebbe passare per uno spacchettamento di questo ministero, e qualche casella in più da viceministro per An.