{{IMG_SX}}Roma, 2 maggio 2008 - Fu nel 2006 che una provocazione anti-Islam di Roberto Calderoli scatenò violente proteste in Libia, con l'assalto al consolato italiano a Bengasi. Il 15 febbraio, l'allora ministro delle Riforme del governo Berlusconi II, intervistato dal Tg1 a proposito delle proteste islamiche per la pubblicazione di alcune caricature di Maometto sul quotidiano danese, 'Jyllands Posten', si aprì la camicia e mostrò in diretta una maglietta con la riproduzione di una delle vignette. Il gesto trovò immediata eco nel dibattito politico italiano, ma anche su alcuni media arabi.

 

Due giorni dopo esplose la protesta a Bengasi, città portuale della Cirenaica, con un passato di tumulti e forte malcontento verso il regime di Muammar Gheddafi. Al momento della protesta all'interno del consolato, unica sede di rappresentanza di un Paese occidentale in città, vi era solo il custode portoghese, mentre i sei diplomatici italiani si trovavano altrove, al sicuro. Al grido di 'Calderoli maialè, i manifestanti assaltarono l'edificio, incendiarono auto, lanciarono pietre. La polizia libica reagì con violenza e cominciò a sparare contro i manifestanti, uccidendo 11 persone e ferendone altre 25.

 

Gli scontri e le vittime suscitarono lo sdegno del mondo politico italiano e le proteste formali della Giamahiriya. Sermoni di protesta si tennero in diverse moschee, durante le preghiere del venerdì in Iraq e Afghanistan, a Nassiriya ed Herat, due città dove erano presenti militari italiani. Calderoli si dichiarò "non pentito dell'iniziativa" ma ventiquattrore dopo fu costretto a lasciare l'incarico governativo che ricopriva dal luglio del 2004. Gli undici morti furono dichiarati martiri dal regime libico e, il 5 marzo del 2007, in un discorso davanti al Congresso generale del popolo, il colonnello Gheddafi affermò che l'assalto al consolato italiano era da attribuire al rancore del popolo libico accumulatosi nel tempo con gli italiani, colpevoli di non aver ancora risarcito i danni provocati durante la colonizzazione e la guerra in Libia. La sede di rappresentanza italiana a Bengasi è ancora esistente, ma di fatto attualmente non attiva.