Tokyo 2020, Paola Egonu schiaccia nel futuro. "Abbattiamo l'ignoranza"

L'azzurra portabandiera del Cio

Paola Egonu (Ansa)

Paola Egonu (Ansa)

Era già simbolo e icona ancora prima di vincere qualcosa con la nazionale. Paola Egonu è evidentemente nata per diventare qualcosa di più di una semplice campionessa dello sport. Lo stanno scoprendo i pubblicitari, ci ha provato la politica, a strumentalizzare le vittorie della pantera nera del nostro volley.

Lei è riuscita sempre a sfuggire al muro più terribile da affrontare, quello degli stereotipi. E lo ha fatto con la sfrontatezza consapevole della gioventù della sua generazione. Come quando in un’intervista ha rivelato di avere una fidanzata, e poi un anno dopo non ha escluso di potersi anche innamorare di un uomo, un giorno. Si sono increspate solo le acque dei perbenisti, non dei giovani come lei per i quali certe cose non fanno notizia.

Nella società dell’immagine del terzo millennio, dove lo sport popolare più praticato è il voyeurismo, Paola Egonu riesce ad attraversare il mondo con la testa alta di una regina.

Di sicuro lo è sul campo di volley: suo il record di 47 punti in una partita nel campionato italiano, sue le Champions League e gli scudetti, sua la firma principale su una stagione come l’ultima nella quale con la maglia del Conegliano ha stabilito il record spaventoso di 64 partite vinte consecutivamente (striscia ancora aperta). Vincendo ogni manifestazione alla quale ha partecipato, ovviamente.

Alla nazionale Paola Egonu deve molto, e finora è un amore pienamente ricambiato: a soli 22 anni ha già messo da parte un argento mondiale, un secondo posto nel Grand Prix, un bronzo agli Europei, anche a non voler contare l’oro mondiale nell’under 18.

Lanciata nel giro dell’Italvolley a soli 16 anni da Marco Bonitta, l’unico ct azzurro campione del mondo con la squadra femminile (finora...), attorno alla crescita della Egonu è aumentata anche la forza di tutta la squadra, che con il giovane Davide Mazzanti ha stregato tutti ai mondiali del 2018 arrendendosi solo in finale alla Serbia.

A Tokyo le azzurre sarebbero arrivate da candidate alla finalissima già un anno fa, adesso sono anche più consapevoli della loro forza. Paola è la trascinatrice del gruppo non solo perché schiaccia e picchia fortissimo da altezze siderali: è con l’esempio che dà la carica alle compagne, è con le parole che diventa trascinante la spiritualità di una bambina che voleva diventare suora e poi ha dovuto sopportare il razzismo, lei italianissima nata a Cittadella da genitori nigeriani. Anche per questo motivo ci aveva sperato, quando il suo nome era stato inserito tra i candidati al ruolo di portabandiera per gli azzurri: "Mi piacerebbe prendermi sulle spalle questa responsabilità, davvero: io, di colore, italiana e la bandiera – disse all’epoca –. L’ignoranza e certe cose del passato hanno bisogno di un taglio netto. Sono pronta".

In realtà è andata meglio: perché l’Italia ha scelto altri, ma il Cio ha voluto Paola tra i portabandiera che rappresenteranno tutto il mondo. Ed è anche più alto, come salto.