Olimpiadi: Biles e Osaka, quando l'agonismo diventa ossessione

Se per la Pilato si è trattato di emozione, le drammatiche vicende delle campionesse Biles e Osaka generano interrogativi inquietanti

Simone Biles triste (Ansa)

Simone Biles triste (Ansa)

Che cosa succede, nella testa di un campione o di una campionessa, quando l’amore per l’agonismo diventa una ossessione? Forse qui a Tokyo abbiamo avuto la risposta. Simone Biles, la più grande ginnasta di tutti i tempi, ha rinunciato in extremis alla prova a squadre. Alla fuoriclasse americana, in passato già vittima di abusi, hanno ceduto i nervi e la pietosa bugia del suo staff (“Ha un problema fisico”) è stata smascherata in fretta.

Poche ore prima, la superstar giapponese che venerdì aveva acceso la fiamma alla cerimonia inaugurale, la tennista Naomi Osaka, non solo è stata eliminata da una semisconosciuta. È letteralmente scappata, Naomi, ribadendo di non sopportare più la pressione, mediatica e non solo. Alcuni osservatori sospettano che non giocherà mai più.

Se nel caso della nostra Benedetta Pilato, l’adolescente del nuoto, il flop olimpico poteva essere attribuito alla emozione di una minorenne scaraventata sul palcoscenico più importante del mondo, beh, le drammatiche vicende di Biles e Osaka generano interrogativi inquietanti.

Lo sport business trasmette ai suoi eroi alienazione? Dove finisce la favola e dove inizia l’incubo? E senza divertimento è possibile diventare e soprattutto restare al top? Come scrivevo all’inizio, forse da Tokyo Simone, Naomi e Benedetta ci hanno dato la risposta. Triste.