
GIUBBE ROSSE
Firenze, piazza della Repubblica, venerdì 30 giugno 1911. Quattro signori in papillon entrano al caffè Giubbe Rosse chiedendo del noto critico Ardengo Soffici, penna di punta della rivista La Voce, i cui redattori sono soliti ritrovarsi nel caffè fiorentino. Niente social o tv, poche fotografie, le firme sono molto più rinomate dei volti.
Qualcuno indica il gruppo vociano ai quattro forestieri. "È lei Ardengo Soffici?", chiede un signore dai folti baffi a manubrio al critico dalla calvizie incipiente. Neanche il tempo di rispondere che parte un ceffone. Soffici barcolla, brandisce il bastone: tra il gruppo di intellettuali fiorentini e i quattro avventori si scatena un turbine di calci e pugni che mette a soqquadro l’elegante caffè. È in questo modo che ai vociani si presentano i futuristi nelle persone dell’ideologo Filippo Tommaso Marinetti, lo schiaffeggiatore, i pittori Carlo Carrà e Umberto Boccioni, il musicista Luigi Russolo. Nessuno è un colosso, ma non arretrano di un passo.
Causa del dissidio, e della ’spedizione punitiva’ marinettiana, la stroncatura della mostra milanese di pittura futurista firmata da Soffici su La Voce del 22 giugno. La rissa prosegue il giorno dopo alla stazione di Santa Maria Novella e si conclude alla Questura di Firenze. Dove Boccioni e Soffici, doloranti, intavolano il dialogo che avvia l’alleanza tra le due principali avanguardie italiane.
a cura di Cosimo Rossi