Sabato 20 Aprile 2024

L'età adulta di Alexis

LA CRISI greca ha dato la stura a un’ondata di luoghi comuni, di versioni partigiane, di caricature dell’Unione Europea, dell’arroganza tedesca, del peccato originale di aver introdotto una moneta unica in assenza di un’unità politica. Gli stessi politici che contestavano i ricatti, le ferite, le umiliazioni inflitte alla sovranità nazionale hanno poi contestate alla democrazia ateniesi, o la mancanza di unità politica del vecchio continente, cioè il troppo poco e non il troppo di sovra nazionalità. Eppure, negli ultimi dieci anni, nessun paese dell’Unione ha ricevuto così tanto e fatto così poco per adeguare la propria economia e la propria struttura statale agli standard comuni di un’economia di mercato e di uno stato moderno. In dieci anni questo è il terzo piano di aiuti alla Grecia, per un ammontare complessivo di 450 miliardi di euro, cioè due volte e mezzo il PIL greco del 2013. Per capirci: in proporzione sarebbe come se l’Italia avesse ricevuto 4.500 miliardi di aiuti. Ciò malgrado, il popolo greco, sei mesi fa, nelle ultime elezioni politiche, ha sfiduciato il governo Samaras che un qualche risanamento aveva pur avviato toccando una timida crescita dello 0,6%. 

DOPO di lui il nuovo leader, Alexei Tsipras trionfatore con Syriza, la multiforme sinistra radicale, mentre avviava un nuovo baldanzoso negoziato con i partner europei dissipava i modesti risultati di Samaras spingendo il Paese verso il baratro. L’impareggiabile ministro delle Finanze Varoufakis e altri giocavano d’azzardo minacciando l’uscita dall’euro e addirittura un rocambolesco cambio di alleanze con Putin al posto di Obama. Al culmine dell’estenuante negoziato il governo greco ha pensato bene di forzare la mano agli sbigottiti partner europei indicendo un referendum. Come se in un condominio di 19 famiglie una di esse, morosa nel pagamento dei debiti contratti con la cassa comune, si riunisse a parte e, ottenuto il consenso dei propri famigliari, pretendesse di farlo valere contro gli altri condomini. Se questa è democrazia, se questa è sovranità nazionale allora aveva ragione Schaeuble, a proporre di mettere la Grecia fuori dall’euro per il tempo necessario a risanarsi. A risanarsi e a rinsavire. Come sembra abbia cominciato a fare Tsipras licenziando Varoufakis e rompendo con quanti nel suo partito continuano a scherzare col fuoco e col no anche all’ultimo accordo possibile, quello di altri 85 miliardi di aiuti in cambio di riforme serie e controlli condivisi del loro adempimento.

FORSE non tutto il male vien per nuocere, forse la novità positiva è questa: il diventare adulto e responsabile, dunque uomo di governo, di Tsipras che ha scelto di proporre al suo popolo e al Parlamento l’amara medicina del principio di realtà cui non può sfuggire chi governa un Paese democratico in una comunità di Stati fondata su regole comuni. Con la scissione e il voto contrario di parte di Syriza e quello favorevole delle opposizioni lo scenario politico greco cambia radicalmente. Tsipras è atteso alla prova più difficile e non è detto che possa essere a lungo il leader della fase nuova che si apre, ma intanto la Grecia resta nell’euro, può affrontare le dure sfide che l’aspettano e riconquistare la fiducia che merita. Mentre i populisti europei accorsi ad Atene tornano a casa gridano al tradimento di Tsipras, in Italia, osservando che il debito continua a crescere e la ripresa a latitare, Matteo Renzi potrebbe trovare il coraggio di cominciare a tagliare la spesa e ridurre le tasse.