Lady camorra resta in carcere, il gip conferma il fermo

Il gip Valerio Savio ha convalidato il decreto di fermo emesso dalla Procura di Napoli nei confronti di Maria Licciardi. Disposto anche l'invio del fascicolo al Tribunale di Napoli. Le casse del clan prosciugate

L'arresto di Maria Liccardi a Roma

L'arresto di Maria Liccardi a Roma

Napoli, 9 agosto 2021 - Resta in carcere  Maria Liccardi, capo clan di Secondigliano. Il giudice per le indagini preliminari di Roma, Valerio Savio ha convalidato il decreto di fermo emesso dalla Procura di Napoli nei confronti di Maria Licciardi e disposto il carcere per la 70enne bloccata dai carabinieri all'alba di sabato scorso, nell'aeroporto romano di Ciampino dove si apprestava a prendere un volo per la Spagna. Il giudice ha anche disposto l'invio degli atti a Napoli. Maria Licciardi, soprannominata anche «lady camorra» è accusata dalla Procura di Napoli dei reati, aggravati, di associazione a delinquere di tipo camorristico, estorsione, ricettazione di denaro di provenienza illecita e turbativa d'asta.

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Le casse del clan prosciugate, la richiesta di prestito a Polverino

I soldi. Quelli contano nel clan Licciardi e per Maria, la donna boss aveva bisogno di soldi. I sequestri e i tanti arresti avevano prosciugato le casse del clan. Ma lei, da stratega, non ci ha pensato su due volte e aveva chiesto 150 mila euro al clan Polverino di Marano (Napoli), alleato storico. Soldi che le ha consegnato Giuseppe Simioli, per anni reggente della cosca, poi pentitosi. Un 'finanziamento' che è stato restituito con rate da 20 mila euro al mese e senza alcun interesse, proprio in virtù dell'amicizia tra le due cosche. Il particolare emerge dal decreto di fermo notificato alla donna e convalidato questa mattina. É lei a raccontare di questo prestito con un affiliato quando si sparge la voce che Simioli si è pentito. A marzo del 2021 dice a Ciro De Vita: "Io con questo tre quattro anni fa, io a lui personalmente non lo conosco, gli mandai un'imbasciata che mi servivano 150 mila euro per pagare le mesate, lui me li mandò e dopo un mese glieli rimandai, però a me non mi conosce".

Circostanza confermata da Simioli in un interrogatorio reso ai pm della Dda dell'anno scorso: "Ricordo che nel 2012-2013 venne Antonio Nuvoletta per dirmi che Maria Licciardi aveva bisogno di 100 mila euro. Ricordo che le mandammo, tramite Antonio Nuvoletta, questa somma di denaro che fu poi restituita". Un altro episodio emblematico della potenza e della forza intimidatrice di Maria Licciardi riguarda la sua intermediazione in una estorsione che il clan della Vanella Grassi di Secondigliano, quartiere a nord di Napoli, aveva fatto al titolare di un garage, che apparteneva a un affiliato al Licciardi.

Dalla cifra iniziale di 15 mila euro si è arrivati a 3 mila euro da pagare in tre rate spalmate in un anno. E infine decideva chi doveva pagare le tangenti e chi no. Come nell'ottobre del 2014 quando si impose addirittura contro il clan Bosti. In una conversazione del 16 ottobre del 2014 tra Francesco Mallardo ed Ettore Bosti quest'ultimo si lamentava con lo zio perché Maria Licciardi, in qualità di capo del clan della Masseria Cardone, si era opposta a un'estorsione del clan Contini nei confronti di un imprenditore della Doganella, che, per non pagare, si era rivolto a Licciardi, nella circostanza indicata come "Maria a scigna" che aveva di fatto impedito la definizione dell'estorsione, sostenendo che l'imprenditore taglieggiato era a lui vicino.