Giovedì 25 Aprile 2024

Clan Casalesi, 37 arresti nel Casertano: manette ai figli del boss Bidognetti

Il gruppo gestiva un corsorzio illegale di pompe funebri e controllava il territorio attraverso armi, pizzo ai pusher, usura verso cittadini e imprenditori con tassi del 240%.

Napoli, 22 novembre 2022 – Blitz anti camorra nel Casertano: 37 persone in manette, tra cui elementi di spicco del Clan dei Casalesi legati alle fazioni Schiavone e Bidognetti. È il risultato di una complessa e articolata attività investigativa, durate tre anni e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli. In manette i figli del boss Bidognetti: il nuovo capo bastone Gianluca e la sorella Teresa, oltre al cugino Giovanni Stabile.

Clan Casalesi, chi è lo spietato boss Gianluca Bidognetti: come diventò capo fazione

Un altro colpo basso alla camorra che arriva dopo gli arresti di 28 narcos del Gruppo Imperiale: un giro d’affari di svariati milioni gestiti dal boss Raffaele Imperiale, tra i più potenti narcotrafficanti al mondo, e dal suo braccio destro Bruno Carbone, entrambi catturati a Dubai. Ieri a Napoli è finito in manette anche il nipote del boss Schiavone, detto Sandokan

Il clan gestiva il mercato delle pompe funebri nel Casertano
Il clan gestiva il mercato delle pompe funebri nel Casertano

L’indagine: cosa è emerso

Nell'arco di oltre tre anni di investigazioni, sono state raccolte prove sullo svolgimento di incontri tra esponenti di vertice delle fazioni per concordare il ripristino di una “cassa comune”, pur mantenendo la loro sostanziale autonomia nei termini operativi, economici e nei territori a loro storicamente appartenuti. Inoltre, un indagato avrebbe curato la pianificazione e la realizzazione delle dinamiche criminali della fazione Schiavone al fine di attuare il controllo capillare del territorio e il reperimento di somme di denaro indispensabili per il sostentamento del gruppo. L’uomo si era affermato come punto di riferimento non solo per gli affiliati, ma anche per coloro che – sebbene non legati al sodalizio dei Caselesi – si sarebbero rivolti per risolvere controversie e dinamiche private.

Bidognetti: figlio del boss al vertice

Secondo gli inquirenti, la fazione dei Bidognetti sarebbe organizzata su vincoli di sangue e guidata dai familiari più stretti dello storico capo clan Francesco Bidognetti, da tempo detenuto in regime di 41-bis. In particolare, il clan sarebbe stato gestito da uno dei figli, Gianluca Bidognmetti, il quale, sebbene detenuto, avrebbe utilizzato telefoni cellulari illegalmente introdotti nella struttura carceraria – e rinvenuti con l'ausilio di personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria – per guidare i sodali liberi e anche organizzare l'omicidio di un noto affiliato, allo scopo di ridimensionare la sua ascesa criminale all'interno del clan.

Gli affari: pompe funebri e usura

Altre due figlie dello storico capoclan avrebbero invece continuato a percepire stabilmente somme di denaro provento delle diverse attività delittuose. La fazione eserciterebbe anche il controllo delle attività delle agenzie di onoranze funebri dell'agro aversano, in virtù di accordi criminali stretti già negli anni '80, attraverso un “consorzio di imprese” illegale. Sottoposto a sequestro, il consorzio del clan condurrebbe attività usuraie, con la cessione di somme di denaro in favore di imprenditori e cittadini, che, sebbene in condizioni di forte difficoltà economica, si sarebbero visti applicare tassi d'interesse fino al 240%.

I reati contestati

La stessa associazione di imprese avrebbe avuto la disponibilità di armi, attraverso le quali avrebbe espresso la propria forza intimidatoria per assicurarsi il controllo del territorio. Oltre al reato associativo, a carico di esponenti delle due fazioni, sono stati contestati reati fine quali estorsioni a danno di numerosi operatori commerciali – un imprenditore sarebbe stato compito alle gambe da colpi d'arma da fuoco con l’obiettivo di piegarne la volontà – traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell'attività di cessione di droga realizzato da terzi soggetti, che sarebbero stati costretti a versare denaro agli esponenti del clan come “pizzo” per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio.