“Junk - Armadi pieni”: qual è il costo reale del nostro guardaroba?

Moda e sostenibilità: a che punto siamo? Prova a rispondere la nuova docu-serie in sei puntate coprodotta da Will Media e Sky, disponibile in streaming

Junk - Armadi pieni, una scena girata in India

Junk - Armadi pieni, una scena girata in India

La moda è creatività, gioco di stili, intreccio di volumi, tessuti, colori ed emozioni. I vestiti ci accompagnano, ci coccolano, ci avvolgono, spesso sono lo specchio dei nostri stati d’animo, a volte possono addirittura trasformarsi in un manifesto. Nel 1914, proprio sul finire della Belle Époque, Paul Poiret liberava le donne dalla “schiavitù” del corsetto, introducendo un morbido (quanto rivoluzionario) drappeggio. Negli anni Sessanta la minigonna è stato il simbolo dell’emancipazione femminile. Dai pantaloni di Coco Chanel alla diffusione dei jeans, dai bikini alla gonna in versione maschile, moltissimi cambiamenti sociali sono passati anche tra le abili dita di sarti e stilisti. Ecco perché, oggi più che mai, il ruolo della moda si deve giocare soprattutto sul fronte della sostenibilità. E’ una partita doverosa che non possiamo perdere.

L’impatto dei vestiti sul nostro Pianeta

Dal Cile al Ghana, dal Bangladesh all’Italia, “Junk - Armadi pieni”, la docu-serie in sei puntate firmata da Will Media e Sky disponibile sul canale YouTube di Sky Italia e on demand su Sky e NOW, propone un’interessante riflessione sui costi sociali e ambientali derivati dell’eccessivo consumo di abbigliamento. Slow fashion, upcycling, pre-loved, eco-friendly: sono tutte espressioni da tempo entrate nel linguaggio dei media e, di conseguenza, nel nostro linguaggio. Ma questa spinta alla consapevolezza e al cambiamento è abbastanza forte da spazzare via decenni di spregiudicato consumismo? Probabilmente no. Nel corso di un viaggio che tocca tre continenti, Olmo Parenti e Matteo Keffer, registi di “Junk”, coadiuvati dall’imprenditore, divulgatore e attivista Matteo Ward, accendono la riflessione sul sovraconsumo di vestiti, mostrando gli effetti del fenomeno, ma, soprattutto le storie e le immagini delle persone e degli ecosistemi che ne subiscono direttamente l’impatto negativo. Dobbiamo toccare con mano il problema. In un mondo interconnesso nulla è realmente “lontano” da noi.

Vivere la moda in modo più sostenibile

La sostenibilità passa anche e soprattutto dall’acquisto. O, meglio, dal mancato acquisto. La “bulimia” degli anni passati non ci porterà da nessuna parte. Anzi, ci ha portato sulle soglie del disastro. Cile e Ghana, per esempio, sono diventate le “discariche tessili” del nostro pianeta. L’Indonesia paga a caro prezzo la produzione di fibre artificiali, recenti studi hanno scoperto come stia letteralmente annientando la biodiversità del Paese. In Bangladesh viene mostrato cosa è cambiato - e cosa no - dal crollo dello stabilimento tessile di Rana Plaza di Savat, dove, nell’aprile di dieci anni fa (il 24 aprile) si è verificato il più grande incidente avvenuto in una fabbrica tessile, con oltre 1100 vittime. Il viaggio prosegue, poi, in India per scoprire come una richiesta sempre maggiore abbia stravolto millenni di cultura della coltivazione del cotone nel Paese. Nel panorama poco rassicurante non manca certo l’Europa, anzi, più precisamente il Belpaese. L’ultima tappa, infatti, ci porta in Italia, i problemi sono forse meno “visibili”, ma non per questo da sottovalutare. Per secoli la nostra società si è fondata su un’economia divisiva e depauperante, con le conseguenze che stiamo tutti pagando. Ora è il momento di invertire la rotta. Serve consapevolezza, coraggio, ma cambiare le cose è ancora possibile e tutti abbiamo un ruolo da giocare.