Antibiotici, tossine e metalli pesanti. I veleni nei nostri alimenti

Dossier Coldiretti: l'Italia importa cibi contaminati, servono più regole

Un uomo al supermercato (Olycom)

Un uomo al supermercato (Olycom)

Roma, 17 maggio 2016 - IL BATTERIO Escherichia coli nella carne argentina, salmonella nel pollame dal Brasile, ma anche residui chimici nocivi, antibiotici, metalli pesanti e Ogm non autorizzati. Un ampio ventaglio di cibi a rischio che finisce sulla nostre tavole. A nostra insaputa. Il dossier Coldiretti, elaborato su dati del Sistema di allerta europeo 2015, fotografa una situazione largamente fuori controllo. Le verifiche, a campione, sono limitate (sotto l’1% per gli scambi intra-comunitari e al 4,7% per i prodotti importati dai Paesi terzi) ma bastano a inchiodare Cina (469 casi), Turchia (214) e India (200) come le tre sorelle al top della lista nera dei prodotti irregolari.

UN PROBLEMA soprattutto di regole. O, meglio, di assenza di regole. «Negli ultimi 20 anni – sottolinea il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo – la globalizzazione ha visto come riferimento il prezzo del prodotto agricolo e mai le regole di produzione. Subiamo la concorrenza sleale di Paesi terzi che producono in modo meno sicuro, con prodotti chimici da noi banditi, senza norme a tutela del lavoro o dell’ambiente». Cibi che costano poco ma valgono meno e, oltre a generare un danno economico, mettono a rischio la salute dei consumatori.

Anche perché oltre metà della spesa degli italiani è ‘anonima’: salumi, carne di coniglio, carne trasformata, frutta e verdura trasformata, derivati del pomodoro diversi da passata, formaggi, derivati dei cereali come la pasta, latte a lunga conservazione, sughi pronti e riso. Tutti prodotti per i quali non c’è l’obbligo di indicare la provenienza. E, guarda caso, molti rientrano tra quelli ‘incriminati’. I prodotti tossici intercettati e respinti contenevano soprattutto aflatossine (frutta secca), antiparassitari (riso, foglie di vite, carciofi, fragole e ceci), salmonelle (semi di sesamo, carne e prodotti ittici), parassiti (soprattutto datteri).

Tra i contaminanti microbiologici, la salmonella è la più diffusa (con ben 476 notifiche), non pochi anche i residui chimici come i fitofarmaci (437) e le micotossine (221). E poi ci sono i metalli pesanti (mercurio, cadmio, arsenico, piombo) e i materiali estranei come pezzi di vetro e metalli.

La battaglia sulla tracciabilità e l’etichettatura va nella direzione di rendere i consumatori consapevoli di ciò che mettono nel piatto, in grado di distinguere tra il prodotto italiano e quello «figlio di agricolture che hanno controlli non paragonabili ai nostri». Basti pensare che i residui chimici in Italia sono tre volte inferiori alla media europea e 12 rispetto ai Paesi extra Ue.

IL TERRENO di gioco è sia europeo che nazionale: «Il regolamento Ue 1169 – spiega Moncalvo – dice che un Paese membro, se può dimostrare che c’è una domanda di trasparenza da parte dei consumatori, può ottenere da Bruxelles un’attuazione nazionale dell’etichettatura». E il 96% dei consumatori, sondato dal ministero delle Politiche agricole, vuole sapere esattamente ciò che mangia. Dunque, dopo la Francia, anche l’Italia si sta muovendo su questo fronte. Lo stesso ministro Maurizio Martina ha ribadito l’impegno a tutelare il made in Italy , «con l’obiettivo di salvaguardare il reddito dei produttori e dare forza alle imprese agroalimentari». Se i prodotti ‘tarocchi’ valgono in Italia 60 miliardi e 300mila mancati posti di lavoro, la concorrenza sleale con cibi rischiosi e di bassa qualità pesa sui ribassi dei prezzi, come quelli di agrumi e pomodori, crollati anche del 60%. Con la salute di mezzo però, molti sarebbero disposti a pagare qualcosa di più pur di avere la certezza sull’origine di ciò che mangiano.