William Vollmann "La violenza è nostra padrona"

Il più irregolare degli scrittori statunitensi "Sono a mio agio solo con barboni e prostitute"

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di Benedetto Colli

A 22 anni è andato in Afghanistan a combattere i sovietici con i mujaheddin. Ha salvato dalla schiavitù sessuale una bambina in Thailandia. In Bosnia è stato investito dall’esplosione di una mina che ha ucciso due suoi amici. A causa di un’opera sugli indiani Irochesi, è stato sospettato dal Fbi di essere Unabomber. Per raccogliere materiale per un romanzo, è quasi congelato nella tundra artica. Negli Usa vive tra prostitute e barboni. Lui minimizza: "È solo che alle volte devi assumerti dei rischi per imparare qualcosa". Ma la vita di William T. Vollmann, 63 anni, scrittore californiano, è come ogni sua opera: estrema, bulimica, maestosa. Basti pensare al suo capolavoro del 2003, Come un’onda che sale e che scende, appena ripubblicato da Minimum Fax. Elaborato nel corso di 23 anni, è un monumento di 986 pagine in cui l’indagine storico-filosofica e l’esperienza personale convergono in una riflessione obiettiva e spietata sulla natura umana. Scopo del libro è "elaborare un sistema di calcolo morale tanto semplice quanto pratico che chiarisca quando è accettabile uccidere, quante persone si possono uccidere e così via". Con una precisa convinzione: "La storia del mondo è la storia della violenza".

Viene dalla middle class: perché ha scelto di vivere ai margini della società?

"Quando avevo nove anni, la mia sorellina annegò in uno stagno mentre era sotto la mia supervisione. I nostri genitori non mi hanno mai perdonato. Neanch’io ci sono mai riuscito. Per questo nella vita ho desiderato incontrare altre persone che hanno commesso errori, come barboni e prostitute: in loro vedo i miei fratelli e sorelle".

Come funziona il calcolo morale proposto in Come un’onda che sale e che scende?

"Faccio un esempio: una femminista occidentale vuole salvare una bambina somala dall’infibulazione; una madre somala vuole che sua figlia si sposi e quindi, per tradizione, deve farla circoncidere. Entrambe credono in buona fede di essere nel giusto. Non si può trovare una soluzione predeterminata e definitiva. Se il nostro approccio è etico, dobbiamo cercare un terreno comune con i nostri avversari, ascoltarne i punti di vista. Non significa condividere, ma comprendere che cosa ci sia dietro a ogni azione. Anche alle più terribili, come quelle di Stalin o Hitler".

È ancora favorevole al Secondo emendamento, che garantisce il diritto di girare armati? "Sì. La pistola è una livella per chi non può difendersi. Certo, richiede un senso di responsabilità morale per essere usata. Ma ritengo che se il dovere di pensare in termini morali venisse tolto alle persone, molti diritti lo seguirebbero. Si finirebbe di nuovo in un mondo di schiavi e padroni".

Nell’era del politicamente corretto, non è scontato esternare idee simili.

"Credo nel diritto assoluto alla libertà di espressione. In Yemen, gli abitanti affermavano che, poiché sono americano, merito di essere ucciso. Per me, tutti hanno il diritto incondizionato di dire le cose più vili, terribili e cariche d’odio su di me o su chiunque altro. Abbiamo già troppi problemi con gli uomini che uccidono altri uomini per preoccuparci delle parole".

Pensa che l’essere umano potrà mai migliorare?

"No, né l’ho mai pensato. Credo fermamente che il mondo diventerà presto un posto molto peggiore. La violenza trova sempre un modo per risorgere".

Ma se la nostra situazione è così disperata, perché dovremmo continuare a lottare?

"Ho perso mia figlia Lisa da pochi mesi. Era un’alcolista, viveva per strada. Si è ubriacata a morte. Aveva 23 anni. Mi consolo pensando che almeno adesso è al sicuro dal cambiamento climatico, dai totalitarismi, dalla violenza. Ma anche se non credo che l’umanità sopravviverà a lungo, questo non ci dà il diritto di arrenderci. Dubito che potremo vincere. Ma non per questo dobbiamo smettere di combattere".

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