Mercoledì 24 Aprile 2024

Villoresi: "Strehler vive quando io sono in scena" A Spoleto l’omaggio per i 100 anni del regista

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di Beatrice Bertuccioli

Era lui, Giorgio Strehler, il vero Prospero, come il personaggio shakespeariano capace di magie. Magici e indimenticabili i suoi spettacoli, capolavori entrati nella storia del teatro. A cento anni dalla nascita del grande regista triestino scomparso nel 1997 a 76 anni, ieri il Festival dei Due Mondi gli ha reso omaggio con una serata al Teatro Romano, con Pamela Villoresi e la regia di Lluìs Pasqual.

Villoresi, come si articola lo spettacolo?

"Non parlerei di spettacolo ma di una serata in ricordo di Giorgio, a cento anni dalla nascita, anniversario per il quale sto realizzando anche un documentario per Rai Cultura. Replicheremo la serata domani a Torino, e a ottobre a Palermo (Pamela Villoresi è la direttrice artistica del Teatro Biondo, ndr.). In scena Andrea Jonasson, sua moglie e interprete di suoi spettacoli, Giulia Lazzarini, sua sorella d’arte, e io che sono stata un po’ la figlia teatrale. La quarta, Margherita Di Rauso, è stata una delle prime allieve della scuola che ha fondato. Con i suoi scritti, ricorderemo quello che è stato il suo modo di vedere il teatro".

Ovvero?

"Per lui il teatro era un servizio sociale e ha sempre lottato contro la disumanità degli uomini e anche delle politiche economiche. Diceva: ho frequentato il Parlamento Europeo e anche quello italiano e non ho mai sentito nominare la parola ‘cultura’, che è invece ciò che ha creato l’Europa".

Qual è l’eredità lasciata?

"Dal Piccolo di Milano, il teatro da lui fondato, sono stati esclusi tutti i suoi attori e collaboratori storici, dopo la sua morte. Quindi, non c’è un’eredità diretta. Certo, il Piccolo rimane uno dei centri teatrali più importanti d’Europa. Ma credo che la sua ‘eredità’ continui a vivere soprattutto attraverso il pensiero, il teatro, che chi ha lavorato con lui porta dentro di sé".

In che modo lei lo porta dentro di sé?

"È un insegnamento filtrato attraverso la nostra sensibilità e i nostri limiti, i miei soprattutto. Comunque lui vive quando io sono in scena. Vive sempre, perché il mio modo di approcciare i testi, di studiarli, di sviluppare la creatività, di non lasciare niente al caso, di approfondire tutto, questo viene senz’altro dalla sua scuola".

Quanto ha cambiato la sua vita d’attrice l’incontro con Strehler?

"Era il marzo del 1975, avevo 18 anni, feci il provino per Il Campiello e mi prese per tre ruoli, riservandosi di decidere quale parte assegnarmi dopo avere trovato le altre due ragazze. Poi ci sono stati L’Arlecchino servitore di due padroni e tanti altri spettacoli. Inevitabilmente, dopo, mi è toccato scendere diversi gradini".

Nostalgia per quella grande stagione?

"In generale il passato mi sta antipatico, lo trovo una trappola. Ma ricordare Strehler mi dà la gioia della consapevolezza di avere vissuto il teatro più bello d’Europa. Posso dire: io c’ero, che privilegio".

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