"Vi presento Dylan": l’orgoglio di papà Penn

A Cannes la figlia di Sean protagonista di “Flag Day“ diretto e interpretato dal padre. L’attore: "Pensavo al film e vedevo solo i suoi occhi"

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di Giovanni Bogani

Chissà che effetto fa, se sei una star del cinema, un ex ragazzo impossibile che prendeva a pugni i paparazzi, se hai vinto due Oscar (Mystic River, Milk) e ne hai viste di tutti i colori, se hai amato Madonna e Charlize Theron, e lavorato con i più grandi registi del mondo, ma stavolta è diverso: stavolta attraversi il tappeto rosso di Cannes tenendo per mano tua figlia, che è anche la protagonista del tuo film. E l’attenzione di tutti, oggi, è su di lei. Su di lei e su di te.

Arriva Sean Penn, regista e protagonista di Flag Day, in corsa per la Palma d’Oro. Racconta, nel film, la storia di una figlia incantata da un padre magnetico, affascinante e truffatore, rapinatore di banche, ma che si fatica a non amare. Nel ruolo della figlia, sua figlia nella vita: Dylan.

Ha trent’anni, la figlia di Sean Penn e della sua ex moglie – anche lei attrice: Forrest Gump, House of Cards – Robin Wright. Trent’anni, e un cammino nello spettacolo non così scontato, né così lineare. L’infanzia l’ha passata lontano da Hollywood: Sean Penn ha preferito che i figli crescessero in un paesino di duemila anime, lontano da tutto. Poi, per lei, il viaggio a New York, i genitori che la spingono ad arrangiarsi da sola.

Come milioni di altri ventenni, Dylan fa la cameriera, la hostess, consegna pizze a domicilio a New York. Il debutto nella moda, per pagarsi le bollette. E poi il motore dello show business che aumenta i giri, anche per lei: sfilate di moda, videoclip, campagne pubblicitarie, i primi film. E ora, l’ingresso a Cannes, dalla porta principale.

"Stavamo preparando il film", dice Sean Penn. "E a un certo punto mi sono reso conto che, chiunque fosse stata l’attrice che avrebbe interpretato mia figlia, avrei cercato in lei il volto di Dylan, gli occhi di Dylan. Così, ne ho parlato con lei. Vuoi interpretare mia figlia? Non se la sentiva, pensava di non avere sufficiente esperienza", racconta l’attore oggi sessantenne. "Ma io sapevo che era un’attrice: lo sapevo da quando tornava a casa da scuola, e mi raccontava storie accadute in classe, con una ricchezza di particolari, cogliendo l’umanità e la verità dei suoi compagni. Ho capito che aveva l’istinto dell’attrice", rivela Penn. "Se sono preoccupato per lei, e per suo fratello Hopper, anche lui attore? Certo. Questo mestiere ti solleva e ti fa ricadere giù, con violenza, senza preavviso. Può farti pagare un conto molto salato per quello che ti offre. Devi essere bravo a lasciare il lavoro fuori dalla porta, quando torni a casa".

Il cinema, per Sean Penn, è davvero una questione di famiglia. Anche suo padre Leo era attore e regista, e sua madre attrice. "Mio padre è stato il mio eroe. E parlo di lui come uomo, non parlo di guerra. Anche se, come pilota, è stato davvero un eroe: l’aspettativa di vita era di sette missioni aeree. Lui ne ha compiute 37, è stato abbattuto due volte, ha sempre portato a casa la pelle. Per tutto ringraziamento, il governo americano lo mise nella “lista nera“ di Hollywood, perché sosteneva i sindacati e perché non denunciava i suoi amici. Per anni, mio padre non ha potuto lavorare. Ma non ne parlava con amarezza, o con rancore. Continuava ad amare l’America".

L’impegno per gli altri, lo prosegue anche Sean Penn. Con la sua associazione "Core", dopo aver appreso che ad Haiti, dopo il terremoto, erano costretti ad amputare senza anestesia, ha fatto arrivare nell’isola milioni di dosi di morfina e altri anestetici. "E adesso stiamo facendo una campagna di vaccinazione nelle favelas del Brasile e in India. È uno dei privilegi della fama: avere del denaro da spendere per gli altri che non ne hanno".

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