Mercoledì 23 Aprile 2025
RICCARDO IANNELLO
Magazine

Vargas Llosa, la libertà di narrare. Addio al Nobel de “La città e i cani“

Morto a 89 anni lo scrittore peruviano. Il romanzo del 1963 diede il via al boom della letteratura sudamericana

Mario Vargas Llosa (1936-2025). In alto, il discorso per il Premio Nobel nel 2010; a destra, un biglietto lasciato da un ammiratore

Mario Vargas Llosa (1936-2025). In alto, il discorso per il Premio Nobel nel 2010; a destra, un biglietto lasciato da un ammiratore

"Se a Lima ci fosse stata una scena teatrale importante sarei stato un drammaturgo, non un romanziere". Il teatro era una delle grandi passioni di Mario Vargas Llosa, lo scrittore premio Nobel per la Letteratura 2010 scomparso domenica sera a 89 anni nella capitale del suo Perù dov’era tornato a vivere riaccompagnandosi nel 2023 con la moglie Patricia. Era malato da tempo e "ormai sembrava un pensionato qualunque quando si appoggiava sul suo bastone per fare due passi" dicono i vicini.

Vargas Llosa era nato ad Arequipa, nel sud del Paese, il 28 marzo 1936. La sua lunga vita è stata piena di sommovimenti e il suo percorso letterario e politico complesso, ma audace e sempre sorprendente. Il teatro, dicevamo. L’ultima volta che fu in Italia, nel novembre 2022 a Firenze, raccontò che a colpirlo fu assistere da liceale a Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller al teatro Segura. Tre anni dopo scrisse una commedia, La fuga degli Inca. Ma, frustrato dalla mancanza di attenzione – anche se anni dopo apparve come attore in due lavori, "spinto da un video di Baricco" –, si indirizzò verso il racconto debuttando proprio con la raccolta I capi (1959) giungendo poi al romanzo nel 1963 con un’opera che regalò gloria e polemiche: La città e i cani. Un’opera ambientata nella scuola militare che lui stesso aveva frequentato, forzato da un padre autoritario che aveva conosciuto solo a dieci anni, visto che aveva abbandonato la famiglia prima che Mario nascesse.

Il romanzo è una denuncia della violenza in quel luogo tanto che ufficiali e cadetti si sentirono calunniati e bruciarono in piazza il libro. La città e i cani è considerato il volume che ha dato il via al boom della narrativa latinoamericana che nella seconda metà del Novecento invase il mondo.

Vargas Llosa e Gabriel García Márquez ne erano i due primattori ma fra loro non correva buon sangue: si picchiarono pubblicamente per una donna e si riconciliarono solo molti anni dopo. La produzione dell’autore peruviano vedrà una serie di opere nelle quali il comune denominatore è una denuncia possente verso la spregiudicatezza del potere anche attraverso la cruda carnalità dei protagonisti. La casa verde ambientata in un bordello; Conversazione nella Cattedrale, che in realtà è un bar; quindi La guerra della fine del mondo, Il narratore ambulante, L’elogio della matrigna, La festa del caprone, Avventure della ragazza cattiva, Crocevia, Tempi duri sono alcuni dei titoli in questo filone. Fanno eccezione due gioielli più leggeri: Pantaleón e le visitatrici e l’ultimo pubblicato, Le dedico il mio silenzio.

"Lo scrittore – ci disse quel giorno di novembre 2022 a Firenze – deve raccontare le vicende delle persone che sono più derelitte… Perde la sua forza se diventa un paladino, un servo del potere. Deve essere critico della società, evidenziarne i difetti aumentando il livello di guardia dei cittadini". E la motivazione del Nobel 2010 è su questa linea: "Per la sua cartografia delle strutture del potere e per le acute immagini della resistenza, rivolta e sconfitta dell’individuo".

Di pari passo è assai agitata la sua vita politica: comunista e amico di Fidel Castro, cambiò idea rivolgendo una pesante critica proprio al regime cubano. Abbracciò quindi il neoliberismo e il conservatorismo tanto da presentarsi alle elezioni presidenziali del 1980 in Perù per il centrodestra, sconfitto da Alberto Fujimori, che poi lo guidò in modo dittatoriale. Nel 1983 Vargas Llosa si esiliò in Spagna e ne ottenne la cittadinanza continuando a battersi in campo conservatore. Ma mai rinunciando nelle sue opere – pervase da un sesso al quale il potere si assoggettava – al realismo che le impregnava. "Sono attaccato – ci disse - alle cose che accadono, senza magie né sotterfugi".

Così sarà anche nel libro postumo che Einaudi pubblicherà in autunno (oltre a riproporre l’opera omnia); ne I venti l’autore rappresenta il senso di alienazione di chi vive in un’epoca che non riconosce più. Un racconto nel quale un uomo ormai vecchio, dopo una non riuscita manifestazione contro la chiusura di un cinema, si trova a vagare in una Madrid surreale alla ricerca della sua casa, mentre i "venti inopportuni" prodotti dal suo corpo non gli danno tregua. Riflette sul fatto che i giovani non si siano ribellati alla scomparsa di un luogo antico così come avviene per musei, teatri e librerie: uno schermo, la multimedialità, possono sostituire tutto finché la cultura morirà. Alla fine ritrova la strada, ma forse quel ritorno a casa decreterà il suo destino.