Mercoledì 24 Aprile 2024

Uomini e pietre: così nacque il sogno del Vate

Il Vittoriale apre da domani la residenza-Museo dell’architetto Gian Carlo Maroni, a cui D’Annunzio affidò la “Santa Fabbrica“ del suo regno

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di Lorenzo Guadagnucci

Gabriele D’Annunzio, com’è noto, aveva un’alta stima di sé quindi non sorprende che abbia scritto in un appunto che "La poesia italiana comincia con 200 versi di Dante e – dopo un lungo intervallo – continua in me". Giordano Bruno Guerri, scrittore e presidente del Vittoriale degli Italiani, la maestosa dimora del Vate trasformata in museo, aggiunge che "D’Annunzio considerava Dante un “parente“, come Michelangelo, per affinità e grandezza artistica. Era un suo modo per onorare il Sommo Poeta, al quale volle inviare, per il sesto centenario della morte, tre sacchi di alloro del Vittoriale". I sacchi, custoditi dalla Biblioteca Classense di Ravenna, tornano “a casa“ cent’anni dopo, in una mostra che apre domani e intende celebrare stavolta un doppio anniversario, non solo i settecento anni dalla morte di Dante, ma anche il primo centenario del Vittoriale. Un accostamento per nulla azzardato, a sentire il Vate.

Correva dunque il 1921 e D’Annunzio, appena cacciato dalla città-stato di Fiume a colpi di cannone dalla Marina militare italiana, prima affittò a Gardone Riviera per 600 lire mensili, poi acquistò per 260mila lire (compresi biblioteca, arredi e documenti vari, fra cui manoscritti wagneriani) villa Cargnacco, appartenuta a Henry Thode, insigne studioso d’arte, e sequestrata dallo Stato italiano come risarcimento per i danni di guerra.

Cominciava così una fase nuova nella vita e nella mitologia del Vate. Una fase nella quale ebbe un ruolo decisivo Gian Carlo Maroni, il giovane architetto trentino (1893-1952), incaricato fin dal ’21 di ristrutturare la villa per adeguarla alle smisurate ambizioni dell’imaginifico poeta, il quale indicò come primo obiettivo di lavoro la necessità di "stodeschizzarla". Per Maroni, più che un incarico professionale, fu un progetto di vita. Si trattava di trasformare una villa tutto sommato rustica – era conosciuta in zona, non per caso, come “la colonica“ – in un grandioso palcoscenico a misura del Vate, dal quale D’Annunzio potesse lanciare i suoi motti, i suoi versi, i suoi proclami verso il resto d’Italia.

Maroni, per il poeta, non era un semplice architetto: ne fu segretario, arredatore, ambasciatore e anche – forse soprattutto – un amico leale. D’altronde Maroni si dimostrò – altra definizione del Vate – "ottimo costruttore". Si deve a lui, all’architetto factotum, se il Vittoriale è ciò che oggi conosciamo, con la Prioria, l’Anfiteatro, la nave Puglia incastonata nella collina, l’Auditorium, le stanze di Schifanoia e tutto il resto.

L’architetto capì subito, fin dal ’21, d’essere alle prese con un impegno totalizzante e di lunga gittata e perciò pensò bene di tirar su una casa tutta per sé all’interno di quel cantiere permanente che si mise in moto a Gardone Riviera e che D’Annunzio non mancò di battezzare degnamente: l’opera di Maroni era per lui la “Santa Fabbrica del Vittoriale“. Maroni, ristrutturando un vecchio rustico, costruì dunque il cosiddetto Casseretto, il suo effettivo ponte di comando sulla “Santa Fabbrica“, divenuto in anni recenti la residenza del presidente del Vittoriale. Per questa sua destinazione il Casserretto non è finora stato visitabile. Finora, perché il centenario e il progetto chiamato di “Riconquista“, cioè di apertura e riapertura di ogni spazio del Vittoriale, ha spinto Giordano Bruno Guerri a trasformare la tolda di comando di Maroni in museo permanente (domani l’inaugurazione).

"Mi sono sfrattato dal Casseretto con grande dispiacere: raramente – dice il presidente – è dato di vivere in una casa così suggestiva e storicamente importante. Ma era giusto che questa strategica e bellissima parte del Vittoriale fosse messa a disposizione di tutti gli italiani". Il Museo si chiama (poteva essere altrimenti?) “della Santa Fabbrica Gian Carlo Maroni“ e accoglie materiali finora mai esibiti: fotografie dei cantieri, libri dell’architetto con dediche del Comandante, foulard di seta coi motti dannunziani, oltre che bozzetti e plastici che documentano la laboriosa opera del “Principe di Monte Ritroso“, come il poeta definì l’amico in una lettera del maggio 1924.

Il Vittoriale celebra quindi i suoi primi cento anni con importanti novità e nel ricordo di un gesto che rese unico il sesto centenario della morte di Dante. Il “secondo“ poeta d’Italia, invitato a Ravenna come ospite d’onore, non vi si recò, inviando al suo posto i citati sacchi di juta colmi di foglie di alloro. Ad Adolfo De Carolis, pittore e illustratore, fu affidato il compito di decorare i sacchi e lui lo fece con stelle, ghirlande e il motto voluto da D’Annunzio: "Inclusa est fiamma" – la fiamma è all’interno. La stessa fiamma – possiamo intendere così l’omaggio, andando oltre Dante – che alimenta il Vittoriale.

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