di Andrea
Martini
La rinunzia di Challangers di Luca Guadagnino (effetto funesto dello sciopero hollywoodiano) ha aperto la strada a un’ouverture italianissima. Comandante è il primo dei sei film nazionali (era accaduto, salvo errori, solo nel ’48), scelta in linea con un rinnovato sentire autarchico. Edoardo de Angelis, quarantenne a cui non manca l’audacia (Indivisibili, Il Vizio della speranza), con Sandro Veronesi cosceneggiatore, rilegge un fatto di cronaca militare. L’ufficiale Salvatore Todaro, responsabile del sommergibile Cappellini della Regia Marina, nell’ottobre del ’40, in pieno Atlantico, dopo aver affondato un mercantile belga, che naviga a luci spente per nascondere un carico di armi, salva da sicura morte i naufraghi nemici. Anche se ciò lo costringe a navigare in superfice e a mettere a rischio la vita dei suoi marinai non proprio convinti della scelta e obbligati a dividere con gli intrusi cibo e destino.
La chiave di Comandante è fin troppo chiara: l’episodio di ieri come monito per l’oggi. L’uomo in mare in balia delle onde non ha più una divisa, è un individuo alla cui sorte non può essere insensibile il sentimento di umanità, perfino in tempo di guerra. A guidare Todaro (Pierfrancesco Favino duttile come sempre) sì militare fascista ma ancor prima italiano, con duemila anni di civiltà alle spalle, sono coraggio e ardimento, che non confliggono necessariamente con la pietas. Fin troppo turgido per pienezza d’umori e per conflitto di caratteri, Comandante non convince fino in fondo restando in bilico tra un donchisciottesco episodio e l’abusato paradigma italiani brava gente – anche se si fa apprezzare per la ricostruzione storico-scenografica.