Una vita da baro, il dandy che lanciò Gabin

Tornano le “Memorie“ di Sacha Guitry: drammaturgo e regista ma soprattutto re dell’umorismo nella Francia del secolo scorso

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di Giovanni Serafini

"Eravamo dodici a tavola. Dalla sera alla mattina un piatto di funghi mi lasciò solo al mondo". Inizia così Mémoires d’un tricheur, irresistibile (ed unico) romanzo di Sacha Guitry pubblicato da Gallimard nel 1935 e riproposto adesso da Adelphi (Memorie di un baro, traduzione di Davide Tortorella): un capolavoro di umorismo ed inventiva da cui lo stesso Guitry trasse un film che François Truffaut definì "un capolavoro".

È la storia di un ragazzino di 12 anni colpevole di aver sottratto qualche soldo dalla cassa della drogheria gestita dal padre e dalla madre. Voleva comprarsi delle palline di vetro e i genitori, per punirlo, decisero di lasciarlo senza cena. Quella sera la sua numerosa famiglia – fratelli e sorelle, zii e cugini – si preparava a gustare un menù a base di funghi. Peccato che fossero terribilmente velenosi… Sta di fatto che tutti i familiari, uno dopo l’altro, morirono nel giro di poche ore. Tutti tranne il piccolo protagonista rimasto solo al mondo, che lesse in quella tragedia un segnale del destino: aveva peccato, aveva rubato, eppure a differenza dagli altri si era salvato… Essere onesti, dunque, non serve a niente; anzi – concluse – può risultare addirittura controproducente. Eccolo dunque avviarsi sulla strada del vizio, dell’imbroglio, del malcostume: la sua unica ambizione sarà arricchirsi diventando un baro, un ladro professionale.

Libero e politicamente scorretto, il romanzo di Guitry fa l’apologia del giocatore senza scrupoli, del seduttore implacabile e impietoso, dell’imbroglione elegante che "prende agli altri tutto quello che gli serve perché nessuno sarebbe disposto a darglielo spontaneamente". Ci sono tre tipi di baro, spiega: c’è il giocatore che imbroglia senza premeditazione, in modo quasi incosciente, perché l’inganno fa parte del gioco; c’è quello che bara perché è disonesto di natura e quello è il suo modo di vivere; e c’è infine il baro di professione, cosciente e organizzato, che a furia di vincere prende gusto al gioco, quello vero, quello senza trucchi, e finisce per perdere tutto quel che ha guadagnato. Finale di partita: per sbarcare il lunario, l’ex truffatore andrà a lavorare come impiegato di Grimaud, un industriale che fabbrica carte da gioco…

Agile, spiritoso, pieno di ironie e doppi sensi, questo romanzo scritto 90 anni fa non ha perso nulla del suo smalto; e fa piacere che un autore praticamente dimenticato per tutto questo tempo torni finalmente alla ribalta. Nato a San Pietroburgo il 21 febbraio 1885, Alexandre Guitry detto Sacha è stato uno dei più brillanti esponenti del “teatro di boulevard“ inaugurato da Georges Feydeau. Drammaturgo, attore, regista e sceneggiatore, scrisse 124 testi teatrali (molti dei quali ottennero grandissimo successo) e diresse 36 film in cui figurava anche come interprete.

Figlio d’arte (suo padre Lucien era un attore molto famoso), ebbe una vita avventurosa e affascinante: frequentò i grandi personaggi della sua epoca, da Claude Monet a Auguste Rodin, da Anatole France a Tristan Bernard, da Max Jacob a Colette. Ebbe sei mogli, tutte attrici, e numerose amanti fra cui Arletty, che rifiutò di sposarlo ("Sacha è già sposato con se stesso", disse).

Fu lui a scoprire e lanciare nei suoi film Louis De Funès e Michel Serrault, Michèle Morgan e Jean Gabin, Yves Montand e Brigitte Bardot. Morì a Parigi nel 1957. Alcune delle sue battute, che nessuno potrebbe firmare impunemente oggi, sono passate alla storia: "Posso capire il primo uomo che accettò di sposarsi: non sapeva a cosa andasse incontro. Ma per il secondo, santo cielo, proprio non ci sono scuse". E ancora: "Certo la donna è un diavolo. Perché è bella, perché è più intelligente dell’uomo e perché è capace di infliggergli supplizi raffinatissimi. Ma c’è una cosa che non capisco: visto che è il diavolo che ha le corna, perché la donna le fa portare agli uomini?".

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