
Sarà perché arriva da Maranello, la terra delle Ferrari, ma di certo Mattia Olivieri è una voce che va di corsa, sull’onda di una bellissima carriera. Come il Cavallino... un baritono rampante. A 39 anni ha già conquistato palcoscenici ambìti e severi, da Parigi a Berlino, a Madrid, sempre con accoglienze e critiche eccellenti. Noi lo abbiamo incontrato a Londra, applauditissimo protagonista de ’Le Nozze di Figaro’ di Mozart nel classico allestimento di David McVicar alla Royal Opera House.
Da Maranello ai teatri del mondo: avrebbe immaginato tutto questo?
"A volte ancora non mi sembra vero. Anche perché, quando ero un ragazzino, la lirica non faceva parte della mia vita. Sì, mi piaceva cantare e don Livio, il parroco del paese, diceva che nel coro si sentiva solo la mia voce. Ma allora io avevo in testa soltanto il pop, Ranieri, Cocciante, i Queen. Ecco, se allora ci fossero stati i talent, magari mi sarei iscritto...".
La sua è una famiglia di artisti?
"No, mamma è stata portalettere (ora è in pensione), papà è meccanico. Ma non finirò mai di ringraziarli per aver sostenuto fin da subito la mia voglia di coltivare la musica. Dopo il diploma all’Istituto d’arte, sono entrato in Conservatorio a Bologna per studiare canto. Tuttavia non pensavo ancora che quella potesse essere la mia strada: oltretutto all’inizio ero spaesato, perché la tecnica era del tutto differente rispetto alla musica leggera".
E quando è avvenuta la svolta?
"La mia insegnante Renata Nemola mi ha seguito passo passo e a 21 anni, per la prima volta, mi ha accompagnato alla Scala ad assistere proprio al ‘Barbiere’ di Rossini. È stato allora che mi sono innamorato della lirica e ho preso a studiare come un matto. Ho capito che è una professione molto meritocratica in cui nessuno ti regala nulla: puoi avere talento ma devi conoscere e coltivare il tuo strumento, la voce".
Ricorda il suo debutto?
"A 23 anni in un festival estivo in Toscana: ero il Commissario Imperiale in ‘Butterfly’. Quel piccolo ruolo mi ha dato il via. Poi ho frequentato le accademie, la Scuola dell’Opera di Bologna e il Centro di perfezionamento Placido Domingo di Valencia in Spagna, dove Helga Schmidt, sovrintendente del Palau de Les Arts, ha creduto in me dandomi tante opportunità".
Pappano, Chailly, Mehta: cosa ha appreso da loro?
"Da questi maestri si impara a vivere per la musica: vedi in loro la passione, la precisione. Il maestro Chailly cerca sempre la perfezione, come se ogni serata dovesse essere un’incisione: una tensione buona, positiva, che ti fa crescere".
La lirica è un ambiente competitivo?
"Forse sì, ma onestamente io non l’avverto: penso sia soltanto un’inutile dispersione di energie. L’importante è guardarsi allo specchio e ogni volta mettersi alla prova e dare il massimo".
Qual è il complimento più bello che le hanno fatto?
"Qualche sera fa una signora mi ha aspettato all’uscita dal teatro, qui al Covent Garden: ha visto le ‘Nozze’ di Mozart già tante volte, eppure mi ha detto di essere rimasta colpita dal mio Figaro perché vi aveva trovato un carattere diverso da tutti gli altri. Riuscire ad arrivare al cuore degli spettatori è la gioia più grande".
Lei ormai è il Figaro per eccellenza. Pensa di assomigliargli?
"Di certo non sono furbo come lui – ride –. Però Figaro è una figura solare, e in questo lo sento vicino. E soprattutto è un personaggio che cerca sempre una soluzione immediata e non si ferma davanti a nessun ostacolo. Anch’io sono così".
Quali sono i suoi miti artistici?
"Due voci impareggiabili, Ludovic Tézier e Luca Salsi. Ogni volta che posso, corro ad ascoltarli con ammirazione".
E quali ruoli le piacerebbe affrontare?
"Un grande desiderio è debuttare nel ‘Don Carlo’: qui a Londra Luca Micheletti ne è stato interprete eccezionale. Fra le opere che amo anche l’Onegin e il Werther nella versione per baritono".
Intanto però l’aspetta il Metropolitan...
"A novembre sarò nel cast di ‘Florencia en el Amazonas’, l’opera ispirata al realismo magico di Garcia Marquez, con la direzione di Yannick Nézet-Séguin. Debuttare a New York credo sia un sogno per ogni cantante, anche perché tutti noi vediamo nell’America la terra della libertà, un luogo dove volere è potere. ‘Se vuoi puoi’ è anche il mio motto. E quindi mi sentirò a casa".