Giovedì 18 Aprile 2024

"Tutto set e disciplina" È il giovane Montesano

Marco Valerio debutta in un film da protagonista: "Chi recita è un maratoneta"

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di Giovanni Bogani

È un ragazzo tranquillo, Marco Valerio Montesano. Se è ambizioso, e sicuramente lo è, nasconde bene lo scintillio dell’ambizione sotto le pieghe ella misura, dell’ironia. Ha un cognome importante: è l’ultimo dei sei figli di Enrico Montesano, l’attore gigante della commedia italiana. E Marco Valerio Montesano – che avevamo già visto in Tornare di Cristina Comencini – debutta da protagonista nel film L’uomo di fumo, regia di Giovanni Soldati, anche lui figlio d’arte – il padre, Mario Soldati, è stato scrittore, giornalista, inventore di una certa tv italiana. Nel cast Selene Caramazza, la giovane rivelazione di Cuori puri di Roberto De Paolis, e Stefania Sandrelli.

Marco Valerio, a 22 anni è già diplomato all’Accademia Silvio d’Amico, ha scritto uno spettacolo teatrale, ha debuttato con suo padre Enrico a teatro ed è protagonista di un film. Si sente più maturo della sua età?

"No, non mi sento più maturo. Ma è qualcosa che viene fuori spesso, me lo dicono. Sono andato a scuola un anno prima – la famosa “primina” – mi sono diplomato a 17 anni, a 18 entravo in Accademia. È andato tutto molto in fretta. Effettivamente".

E lei, ha fretta? Di fare, di lavorare, di affermarsi?

"Forse in qualche modo sì. La sento, questa fretta, e la subisco anche un po’".

Suo padre che cosa le dice, al riguardo?

"Da una parte mi dice: stai calmo, sei giovane. Dall’altra mi stimola molto, mi dà dei consigli".

Su che cosa, in particolare?

"Consigli pratici: lui è una specie di atleta della recitazione, allena la memoria, e mi spinge ad allenare la memoria. Poi ha una grande arte: fa rientrare ogni aspetto della sua vita dentro la recitazione".

Parliamo del film. Qual è il suo ruolo?

"Sono uno studente universitario con la passione dei delitti irrisolti. Sono impacciato, imbranato, ma acuto investigatore".

In famiglia anche i suoi fratelli Mattia e Michele Enrico hanno scelto la recitazione. E molti sono i figli d’arte che vengono alla ribalta: da Pietro Castellitto a Leo Gassman affermatosi a Sanremo, ad Andrea De Sica regista di Baby…

"È vero, credo che ci sia una specie di “nuova onda” di figli o addirittura nipoti d’arte. Così come c’era stata la stagione in cui sono emersi Gian Marco Tognazzi, Alessandro Gassmann, Asia Argento… Perché? Forse dovremmo ritornare a concepire quello dell’attore come un mestiere. Un mestiere artigianale, che come tale può essere tramandato, un po’ come il calzolaio, o il falegname".

Ma è un privilegio oppure una condanna, avere un cognome famoso?

"Non la vedrei come una condanna: sono contento di avere avuto la fortuna di poter recitare a 11 anni al Brancaccio, e poi al Sistina: certo, ci sono quelli che pensano che sei raccomandato. Ma alla fine il posto in squadra te lo devi guadagnare. Anche nel calcio: Federico Chiesa o Christian Maldini. E anche lì il posto in squadra non te lo regalano".

Quali sono i suoi modelli, nella recitazione?

"Tutto il cast del Padrino: Marlon Brando, Al Pacino, De Niro. Ma se andiamo in Italia, tutti i giganti della commedia all’italiana: Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Manfredi, Sordi. E anche mio padre, certo".

L’attore è genio e sregolatezza, o rigore?

"Ahah! Genio e sregolatezza, mi piacerebbe! In realtà dopo una giornata di set vado a dormire distrutto. E credo molto alla disciplina. L’attore è un maratoneta, non un centometrista. Il suo valore si vede alla distanza, e si misura nella tenuta".

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