Venerdì 19 Aprile 2024

Tutti per uno, un milione per tutti: "Che bello giocare ai Moschettieri"

Il film con Favino "il più visto di sempre" nel Natale di Sky. Parla il regista Giovanni Veronesi

"Tutti per 1, 1 per tutti" (Ansa)

"Tutti per 1, 1 per tutti" (Ansa)

Ha tenuto un milione di spettatori incollati alla tv, a sentire Pierfrancesco Favino esprimersi in "franscese", sussiegoso e comicissimo, e a tirar di spada. Un milione di spettatori incollati davanti alla tv, il miglior film di Natale di sempre su Sky: ed era, in realtà, una prima cinematografica. La prima di Tutti per 1 – 1 per tutti, il film in cui Giovanni Veronesi torna a raccontare, a modo suo, i Moschettieri di Dumas. Grande soddisfazione per Giovanni Veronesi, il regista, toscano sanguigno, cinico e divertito nello spirito con cui affronta ogni cosa: il cinema, ma anche i messaggi che affida a Twitter, in cui parla di tutto senza peli sulla lingua. E che se ne va con gran felicità a cavallo, nella sua Maremma, come un cowboy o un buttero. Cinquantotto anni, riccioli in disordine un tempo biondi, Veronesi ha scritto quasi tutti i film di Francesco Nuti e di Leonardo Pieraccioni, ha diretto Il barbiere di Rio e i tre Manuali d’amore. Era uscito nel 2018 il suo primo film sui Moschettieri, La penultima missione. Stavolta l’uscita è sul piccolo schermo, ma i risultati sono comunque lusinghieri.

Veronesi, una volta, quando girava “Il mio West”, disse: un produttore mi paga per giocare con i giochi della mia infanzia. Anche in questo caso accade qualcosa di simile?

"Sì. Con la differenza che questo è il mio film più libero. Mi sono sentito libero di creare situazioni paradossali e grottesche, sempre con lo spirito puro e serissimo del gioco. Io ho sempre preso il gioco molto sul serio: quando morivo, da piccolo, non mi muovevo per nessun motivo al mondo".

Torna a una storia corale. Sembra di vedere l’influsso di “Amici miei” e dell’ “Armata Brancaleone”.

"Credo che quei due film siano da sempre nel mio Dna di spettatore. In più, stavolta non mi sono posto limiti all’invenzione. Sono arrivato a un’età in cui ho superato il problema dei giudizi degli altri. Posso essere totalmente me stesso".

E come i suoi Moschettieri, ha sviluppato una vera e propria passione per l’andare a cavallo. Ha fatto irruzione in sella a un cavallo anche negli studi di “Propaganda Live”…

"Perché andare a cavallo è un’esperienza sublime. Non è come andare su un’auto: sei su un animale che vive, vive insieme a te, in quell’istante, e sente le emozioni. Senti vibrare le vene, senti la sua carne e il suo respiro: è come essere in collo a qualcuno da piccolo. Ti senti come un marsupiale, un cucciolo di canguro".

Nella sua carriera ha diretto star eccezionali. Come David Bowie nel “Mio West”. Che cosa ricorda della lavorazione con lui?

"Quando lo vidi, David Bowie era vestito con una tuta sportiva: ma non di quelle originali, con tre righe. La sua tuta di righe ne aveva quattro, e c’era scritto “Addas” da qualche parte. Era una tuta taroccata. Notai quel particolare e, sgomento, mi chiesi: ma non mi avranno mica mandato un sosia?".

Robert De Niro, che ha diretto in un “Manuale d’amore”, era quello vero?

"Era vero anche David Bowie. Ma ci parlai poco, ero troppo timido. A De Niro, invece, chiesi di tutto. Dopo il terzo Vodka tonic, rispondeva a tutto. Gli domandai anche chi, secondo lui, era il più bravo: Al Pacino, Dustin Hoffman o lui stesso".

Che cosa rispose?

"Mi disse: caro “Joe Wany”, dipende dal personaggio. Se uno è bassino, è più bravo Dustin Hoffman; se è di altezza media, è più bravo Al Pacino; se è uno piuttosto alto, sono più bravo io. E quando gli chiesi perché avesse accettato di ingrassare venticinque chili per interpretare Jack La Motta in Toro scatenato, mettendo a rischio la salute, mi rispose: “Ma perché altrimenti lo avrebbe fatto Al Pacino!”".

 

 

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