Giovedì 25 Aprile 2024

"Troppa incuria. E la parola diventa chiacchiera"

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di Stefano Marchetti

Tutta la vita "è una battaglia di parole", sentenziava il sofista Gorgia già 2500 anni fa, perché il logos, la parola, può consolare o abbattere, può far scoppiare le guerre o farle cessare, può assolvere o condannare. "La parola è potente perché l’uomo è la parola. Secondo Aristotele, accanto alla polis, la società, la parola è l’altra marca distintiva dell’uomo. E la polis si realizza attraverso la parola", ricorda Ivano Dionigi, insigne latinista, già Rettore dell’Università di Bologna, che domani alle 10.30 sarà ai “Dialoghi di Pistoia“ (al via oggi e fino a domenica), accompagnandoci a scoprire il potere di quella Benedetta parola che è anche il titolo del suo recente saggio, edito da Il Mulino.

Professor Dionigi, oggi le parole sono maltrattate...

"Penso che l’incuria delle parole sia una delle cause principali della volgarità dei nostri giorni. Abbiamo il massimo dei mezzi di comunicazione e il minimo di comprensione. E la parola finisce per essere chiacchiera".

Perché?

"Abbiamo ridotto tutto a spazio, a www, alla grande rete del mondo che si muove in superficie, in modo orizzontale, dimenticando il tempo che invece si caratterizza per la profondità, la verticalità, la metamorfosi. Ai nostri ragazzi abbiamo staccato la spina dalla storia. La parola non è un segno individuale del presente, ma un fenomeno storico, sociale, è il tramite che unisce la memoria dei padri al futuro dei figli. Noi oggi facciamo scempio della parola".

Per esempio?

"Confondiamo il maestro con l’influencer, il discepolo con il follower, lo statista con il leader. E per abbellire la realtà, adottiamo eufemismi e così chiamiamo ‘legge di mercato’ quello che è sfruttamento, oppure parliamo di ‘flessibilità’ e i giovani vi leggono disoccupazione. La dignità è stata ridotta a un decreto, la politica a un contratto, la pace a un condono fiscale. E un’invasione brutale è stata chiamata operazione speciale. Ma la parola è potente perché ha pure la possibilità di smascherare, di rivelare. Basta tornare al valore originario delle parole: richiamare dall’esilio le parole dei padri e creare parole nuove per nominare il nostro tempo".

Lei ha dedicato il suo libro a Marcello, "piccolo grande logodedalo". Chi è?

"Il mio nipotino di due anni che, come tutti i bimbi, è un architetto delle parole, ci gioca, le storpia. È bello assistere a questa costruzione della parola".

Quale parola vorrebbe che per lui fosse la più importante?

"Certamente ‘fratello’, una parola che va oltre il legame di sangue e chiama in causa le relazioni. Essere fratello è più impegnativo che essere cittadini e più nobile che essere uomini. La si dovrebbe usare più spesso anche nel lessico politico".

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