Sabato 20 Aprile 2024

Tra i poliziotti, per la strada: Simenon indaga

Per quattro anni, dal 1933 al 1937, lo scrittore visse fianco a fianco con gli agenti del Quai des Orfèvres. Ecco i suoi reportage

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di Matteo Massi

"Lui aveva bisogno di uscire dall’ufficio, di sentire che aria tirava, di scoprire, a ogni nuova inchiesta, mondi diversi".

Scrive così Georges Simenon del suo alter ego letterario Jules Maigret in Maigret e il signor Charles. E quei mondi diversi, tutti da scoprire, che sarebbero poi diventati lievito per i polizieschi con il suo commissario, Simenon li batte con le sue scarpe dal 1933 al 1937. Quattro anni per un buon numero di quelli che un tempo si definivano reportage e che raccontano la polizia francese: Adelphi, anche con foto d’epoca a corredo, li ha raccolti ora col titolo Dietro le quinte della Polizia. Nel 1933, per la cronaca letteraria, Simenon aveva già scritto una mezza dozzina di libri con protagonista Jules Maigret. Ma addentrandosi, su invito del capo della polizia di allora Xavier Guichard, negli uffici di Quai des Orfèvres, scopre anche, attraverso i numeri, che la Francia è il Paese con il minor numero di reati impuniti. Merito della polizia giudiziaria. Ma quanto assomigliano questi anonimi agenti, abili nel non lasciarsi sfuggire nemmeno il minimo dettaglio (dalle impronte alle frequentazioni) per scoprire l’identità di assassini e truffatori, al suo Maigret?

Non hanno un metodo d’indagine scientifico alla Sherlock Holmes. Mescolano il fiuto dell’investigatore alle tracce lasciate sul campo e arrivano alla soluzione. Spesso non prendendosi nemmeno le pause di riflessione, ruminando, come fa invece il suo Maigret. Di solito indossano vestiti confezionati e hanno quasi tutti l’aspetto del tipico francese medio. Con le scarpe grosse, sottolinea Simenon. Quelle scarpe grosse (a doppia suola) che evita al suo alter ego. In Maigret e il lettone scrive Simenon: "Maigret non somiglia ai poliziotti resi popolari dalle caricature. Non aveva né baffi né scarpe a doppia suola. Portava abiti di lana fine e di buon taglio. Inoltre si radeva ogni mattina e aveva mani curate. Ma la struttura era plebea. Maigret era enorme e di ossatura robusta. Muscoli duri risaltavano sotto la giacca e deformavano in poco tempo anche i pantaloni più nuovi". I poliziotti che Simenon incrocia invece nei suo reportage "non sono campioni di pugilato". Ma è gente del mestiere, nel senso che il suo mestiere lo fa bene e fino in fondo. In seguito Simenon antropologo del poliziesco, così come per il suo Maigret, racconterà che questi reportage "erano la ricerca dell’uomo messo a nudo". E in una Parigi in cui criminale e poliziotto si sfiorano con i gomiti al bancone dei bistrò, è fondamentale non giudicare il crimine, ma comprenderlo per arrivare comunque a una soluzione. Dirà lo stesso Simenon, in un’intervista del 1985 a Giulio Nascimbeni: "Di mio a Maigret ho dato una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare, perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli".

E anche quel profilo da bon vivant che non guasta. Anche al palato del lettore. È così che Maigret beve il suo Calvados, che diventa praticamente un rito, e si fa prendere per la gola dalla blanquette de veau che altro non è che una ricetta di carne di vitello bollita guarnita con carote, cipolle, patate, funghi e una salsa di burro, il suo piatto preferito. I poliziotti che popolano il Quasi des Orfèvres, all’ultimo piano della Tour Pointue (la torre aguzza), sono di gusti decisamente più facili. Decisamente più ordinari. "Sono per lo più dei bravi borghesi che la domenica vanno a pesca e aspettano la pensione per trasferirsi in campagna e coltivare il proprio giardino. Non parlano mai di intuizione o di fiuto. E a maggior ragione nel loro vocabolario non esiste la parola genio".

Fatto sta che al termine della serie di reportage, l’odore e le facce di quei palazzi mancano già a Simenon che scrive ancora: "Ciò non toglie che forse mi resterà la nostalgia dei poliziotti dalle scarpe grosse e dei commissari che hanno fatto la gavetta, che parlano nel gergo dei quartieri popolari, che bevono al bancone accanto ai malviventi, gli offrono una sigaretta e, se necessario, li prendono a schiaffi". Metodi sbrigativi e spesso risolutivi che portano a risolvere i casi. Ma che rendono il confine tra il Bene e il Male, così labile. Perché in fondo quella porca vita, anche a Parigi, continua a mantenere il suo irresistibile fascino. Sia che diventi un’opera di fantasia che si dipana attraverso le azioni di Jules Maigret. Sia invece che sia la semplice realtà vista con le lenti, tutt’altro che deformate, di Georges Simenon.

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