Martedì 23 Aprile 2024

Torna Barbieri: sì viaggiare, ma senza bagagli. "Alla ricerca del topper negli alberghi"

Lo chef e quel sottile materassino per il letto: da stasera su Tv8 riapre la sfida tra gli hotel dello Stivale

Lo chef Bruno Barbieri

Lo chef Bruno Barbieri

Mappazzone e topper le parole di riconoscimento. L’accento, la sua nota distintiva. E quel leggero eccesso di severità, il valore aggiunto capace di trasformarlo nel giudice più temuto.

Già. Perché l’autorevolezza non si misura certo in centimetri.

Fosse un indovinello, sarebbe fin troppo facile: siamo davanti a Bruno Barbieri, 59 anni di Medicina, alle porte di Bologna, cuoco e personaggio televisivo insignito di ben 7 stelle Michelin nel corso della sua carriera, già in onda con la decima edizione di MasterChef Italia targata Sky e ora in rampa di lancio con i nuovi episodi di Bruno Barbieri 4 Hotel prodotto da Banijay Italia e trasmesso, per la prima volta in chiaro, da stasera su Tv8.

Tanti impegni chef Barbieri, l’energia non le manca.

"Perché faccio quello che mi piace: cibo e viaggi sono due ingredienti fondamentali".

Una vita intensa, che l’ha portato a visitare il mondo: il luogo che le è rimasto nel cuore?

"L’Amazzonia: dormire in un lodge immerso nella natura, è stato indimenticabile".

Non mi dica che cercava il topper anche lì...

"È vero, da quando ne parlo in tv , quel sottile materassino imbottito che va messo sopra al materasso è diventato famoso (ride, ndr): ogni volta che vado ospite da amici, ne porto uno in regalo. Una coccola di origine anglosassone che ho conosciuto in Australia: 8 centimetri capaci di cambiarti la vita".

È riuscito a trasformare in un must anche il termine mappazzone: come nasce?

"Il mio accento dice da sé che sono nato in Emilia: cresciuto con i miei nonni sulle colline di Sasso Marconi, in un luogo incantato che la gente chiama Piccolo paradiso. È lì che ho scoperto il rispetto per il cibo e anche il suo vocabolario. Mappazzone è un termine dialettale bolognese che rende perfettamente l’idea di un piatto eccessivo e poco invitante. Una schifezza".

Quanto le piace leggere la paura negli occhi degli aspiranti chef o degli albergatori?

"Torno ancora una volta alle mie origini: quando parlavo del rispetto del cibo, mi riferivo a una visione sana della cosa. Abitando in campagna non andavamo nei negozi a comprare le zucchine, ad esempio, ma nell’orto. Chilometro zero. Sapevamo che dietro a quel prodotto c’era tanta fatica, il lavoro di molti e che, per questo, andava rispettato. Il primo pesce di mare io l’ho assaggiato da ragazzo, andando a trovare mio padre che lavorava in Spagna".

Ha dovuto imparare a essere severo o le viene spontaneo?

"La severità è una caratteristica innata del mio carattere, data dall’essere una persona educata e responsabile fin dalla più giovane età".

Com’è balzato dalle colline bolognesi alle cucine stellate?

"Forse ero un predestinato. Ho fatto la mia scuola alberghiera, presto ho capito che amavo viaggiare. Così me ne sono andato a vivere in giro per il mondo e, da allora, non mi sono fermato più. Per questo da un anno a questa parte mi sento un leone in gabbia, bloccato da questo virus che sta mettendo in ginocchio il Paese e tante categorie, come ristoratori e albergatori, che sono felice di aiutare grazie ai programmi che faccio".

Felice della sua vita?

"Molto, voglio campare fino a 120 anni, il meglio deve ancora venire: fra le prossime mete in agenda, non appena il Covid lo permetterà, c’è l’India"

Abitualmente viaggia da solo?

"Sì, solo e quasi senza bagagli: compro tutto lungo strada, come fanno i veri esploratori. Amo mimetizzarmi, diventare parte integrante del luogo che sto visitando, fare miei gli odori, il cibo, i suoni. Solo frequentando le persone del luogo è possibile arrivare in zone incredibili, come quella volta che ho fatto il bagno sulle Cascate Vittoria, in Africa centrale; proprio dove finisce il corso dello Zambesi ci sono meravigliose piscine naturali in mezzo alla foresta".

Ma non le dispiace un po’ non condividere tutta questa bellezza?

"Beh, certamente non avere una famiglia mia, un po’ mi pesa. Ma è stata una scelta consapevole. Ho comunque mia madre Ornella, mia sorella, i miei nipoti: una di loro vive a Parigi, altra città che adoro, e insegna italiano e latino ai francesi. Non credo che avere legami mi avrebbe consentito di fare questa vita, che mi piace da matti. Quello che mi manca è un figlio. Ma... mi conosco, non sarei mai riuscito a diventare Bruno Barbieri avendo una famiglia".

Più obiettivi che rimpianti, quindi?

"Certo! Soprattutto dopo aver scoperto, passati i 50 anni, che fuori dalla cucina esiste una vita, tanti altri interessi, tante passioni. Gioie che voglio coltivare ancora a lungo. Fino a 120 anni... Ma l’ho già detto, no?".

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