Ariaferma, Toni Servillo fa il bis in carcere: "Straziante e umano"

Servillo da papà nel film di Sorrentino ad agente di custodia in “Ariaferma“. Davanti a lui Silvio Orlando, il “capo“ dei detenuti

Toni Servillo (62 anni) e Silvio Orlando (64, a destra)

Toni Servillo (62 anni) e Silvio Orlando (64, a destra)

Un Toni Servillo inedito. Per una volta, non così sicuro di sé, quasi beffardo, come eravamo abituati a vederlo in tanti film. Un Toni Servillo secondino di carcere, un carcere semivuoto, nel quale rimangono – per un kafkiano disguido burocratico – dodici detenuti. È lo spunto da cui si muove Ariaferma, il film di Leonardo Di Costanzo presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, e nelle sale italiane dal 14 ottobre. A bilanciare gli sguardi di Toni Servillo c’è Silvio Orlando, nel ruolo di un detenuto di lungo corso, un capo.

Servillo, nella galleria di personaggi che ha interpretato questo sorprende: un funzionario dello Stato di decorosa, dimessa bontà…

"Sì, è un personaggio lontano da altri che ho fatto. E mi ha permesso di allontanarmi dalla routine, costruendo un personaggio di cui mi affascinava la dimensione interiore. Un uomo che ha un conflitto molto forte tra l’esercizio del dovere e la compassione, la pietà, l’umanità. E credo che questo conflitto consegni al pubblico più di un motivo di riflessione".

Che cosa è il tempo per un detenuto, e che cosa è per un agente di custodia?

"È lo stesso strazio. Il tempo che condividono sorveglianti e sorvegliati ha la stessa natura straziata e straziante. Una condizione in cui possono impazzire gli uni e gli altri. Lo strazio è lo spreco del proprio tempo, senza capire il senso di quello che stai facendo e perché lo fai".

Ha incontrato prigionieri o guardie carcerarie reali?

"No, ma abbiamo fatto un gran lavoro, leggendo centinaia di testimonianze sui rapporti tra sorveglianti e sorvegliati. Sono felice di aver fatto questo film anche perché abbiamo ragionato molto su un tema così trattato, a volte anche abusato, dal cinema. E siamo riusciti a fare un cinema lontano dai luoghi comuni che il cinema ha raccontato".

Il carcere, tema delicato...

"Tutto era delicato da fare, l’Italia ha il primato delle galere più affollate d’Europa, ma devo dire che l’aver come introiettato la divisa mi ha aiutato a rappresentare certe rigidità. In questi casi basta anche solo un gesto per far traballare tutto".

Niente Napoli in questo film...

"Napoli è una città nella quale ho vissuto negli anni ‘80 e che per molti aspetti è migliorata; nasce e muore in un ciclo di esperimento sociale continuo, che ne fa forse la vera metropoli italiana. Una città che, con i suoi attori, è al centro della Mostra. Devo dire, perché è la realtà, che siamo sempre presenti, sulla scena nazionale e internazionale. Abbiamo tanti difetti, ma non ci manca la capacità di essere protagonisti nella vicenda dello spettacolo e delle arti. E qui lo siamo con Sorrentino, Martone, Di Costanzo, Andò e tantissimi altri. Napoli continua a essere un generatore di storie e di talenti di cui sono orgoglioso".

Silvio Orlando - Non c’è mai stata l’idea di fare il film a ruoli invertiti: lei carceriere e Servillo carcerato?

"Quando ho letto la sceneggiatura, ho subito pensato che mi sarebbe stata affidata proprio la parte del carceriere. Poi, con un piccolo salto mortale, Leonardo Di Costanzo mi ha affidato l’altro ruolo. E su questa piccola ‘scomodità’ che Leonardo ci ha imposto si è giocato tutto il film: ci ha fatto uscire dalla nostra ‘zona di conforto’ per esplorare territori nuovi".

Un po’ rischioso, no?

"Bisogna rischiare nel nostro lavoro. Se ad esempio avessi dovuto considerare la mia attitudine bonaria mi sarei tirato indietro da questo ruolo. Ma sono felice di averlo fatto, il cosiddetto ‘film civile’ è qualcosa che andrebbe più praticato".

 

 

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