Un Toni Servillo inedito. Per una volta, non così sicuro di sé, quasi beffardo, come eravamo abituati a vederlo in tanti film. Un Toni Servillo secondino di carcere, un carcere semivuoto, nel quale rimangono – per un kafkiano disguido burocratico – dodici detenuti. È lo spunto da cui si muove Ariaferma, il film di Leonardo Di Costanzo presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, e nelle sale italiane dal 14 ottobre. A bilanciare gli sguardi di Toni Servillo c’è Silvio Orlando, nel ruolo di un detenuto di lungo corso, un capo. Servillo, nella galleria di personaggi che ha interpretato questo sorprende: un funzionario dello Stato di decorosa, dimessa bontà… "Sì, è un personaggio lontano da altri che ho fatto. E mi ha permesso di allontanarmi dalla routine, costruendo un personaggio di cui mi affascinava la dimensione interiore. Un uomo che ha un conflitto molto forte tra l’esercizio del dovere e la compassione, la pietà, l’umanità. E credo che questo conflitto consegni al pubblico più di un motivo di riflessione". Che cosa è il tempo per un detenuto, e che cosa è per un agente di custodia? "È lo stesso strazio. Il tempo che condividono sorveglianti e sorvegliati ha la stessa natura straziata e straziante. Una condizione in cui possono impazzire gli uni e gli altri. Lo strazio è lo spreco del proprio tempo, senza capire il senso di quello che stai facendo e perché lo fai". Ha incontrato prigionieri o guardie carcerarie reali? "No, ma abbiamo fatto un gran lavoro, leggendo centinaia di testimonianze sui rapporti tra sorveglianti e sorvegliati. Sono felice di aver fatto questo film anche perché abbiamo ragionato molto su un tema così trattato, a volte anche abusato, dal cinema. E siamo riusciti a fare un cinema lontano dai luoghi comuni che il cinema ha ...
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