Martedì 8 Ottobre 2024
GIUSEPPE DI MATTEO
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Tommaso Avati: "È ora di riscoprire la forza del perdono"

Un gruppo di abitanti in Puglia si converte all’ebraismo. Da una storia vera un romanzo su famiglia e comunità. .

Tommaso Avati: "È ora di riscoprire la forza del perdono"

Tommaso Avati: "È ora di riscoprire la forza del perdono"

La storia è incredibile, anche se ancora poco conosciuta. E più o

meno è questa: nel 1938, a San Nicandro Garganico, un piccolo paese del Foggiano, mentre il fascismo si avvia verso la sua fase più buia e tragica con le infami leggi razziali (cui seguirà la catastrofe della guerra), un gruppo consistente di abitanti del luogo si converte all’ebraismo. Merito di Donato Manduzio, un reduce della Grande Guerra che, verso la fine degli anni Venti, ha una visione nella quale Dio gli comanda di portare la fede ebraica nella sua terra. Tutto ciò nonostante Manduzio con l’ebraismo non abbia mai avuto contatti. Come che sia, la conversione avverrà. Ma ufficialmente solo a guerra finita.

Di questa vicenda ha parlato qualche anno fa lo storico John Davis nel libro Gli ebrei di San Nicandro, pubblicato da Giuntina.

E lo ha fatto anche Tommaso Avati in un romanzo delicatissimo e fresco di stampa – La ballata delle anime inutili (Neri Pozza) – che racconta il lento disfacimento di una famiglia pugliese, quella dei Logreco, di chiaro sapore verghiano. La casa del nespolo, tanto per restare in tema, è una masseria che vede consumarsi lo spirito del tempo. E il dito grosso è la tredicenne Sofia, la protagonista, che ruba la scena all’autoritario padre Vittorio, la cui adesione al fascismo è caricaturale esattamente come il Paese che ne è vittima, e al mosaico di figure femminili che popolano il romanzo, corale come I Malavoglia di Verga. Ma l’episodio della conversione, pur non essendo il sole che illumina il racconto, è tutt’altro che marginale: inciderà infatti sul destino dei protagonisti e in particolare in quello di Sofia.

Tommaso Avati, com’è arrivato a questa storia?

"L’ho scoperta per caso una ventina d’anni fa, perché qualcuno me ne parlò. Poi ho letto alcune carte di Manduzio. Ed è nato il romanzo. Per un momento ho pensato di ricavarne anche un film…"

E lo farà? Magari con suo padre Pupi?

"No, lo escludo. Anche perché papà difficilmente lavora su sceneggiature che non siano scritte da lui. In futuro però potrei pensarci, vedremo".

L’idea del romanzo è legata unicamente alla storia di Manduzio o c’è dell’altro?

"In realtà volevo raccontare la storia di una famiglia che scoppia. È un tema cui lavoravo da tempo. Avendo poi scoperto quella vicenda, ho deciso di ambientare il romanzo in Puglia durante il fascismo".

Il titolo è chiaramente antifrastico: leggendo il romanzo si scopre infatti che i personaggi, gran parte dei quali femminili, non sono affatto inutili…

"Vero. Ognuno dei personaggi corrisponde a una parte della mia vita. E quello di Sofia tra l’altro è molto particolare. Anzitutto è lo spirito della casa, e lo resterà per sempre. E poi c’è il suo linguaggio. Per disegnarla verbalmente mi sono ispirato a Herta Müller. Non solo: Sofia, pur non essendo ebrea, ha un modo di fare molto simile alle usanze e ai precetti di quel popolo. E infine è quella che gli ebrei considerano la parte femminile di Dio".

Con il suo romanzo vuole lanciare un messaggio?

"Ho voluto riscoprire la forza del perdono, chi lo leggerà se ne accorgerà. Dobbiamo farlo anche in questo momento drammatico: e non solo per quello che sta accadendo tra israeliani e palestinesi".