Giovedì 18 Aprile 2024

Tocco di Magnus: è l’arte del poliziesco

Torna “Sarti Antonio e il malato immaginario“. Il genio visionario di Raviola al servizio del racconto “cult“ di Loriano Macchiavelli

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di Matteo Massi

Avevano la rivoluzione tra le dita. Ed entrambi l’hanno inseguita a modo loro: Loriano Macchiavelli e Roberto Raviola. Il primo scrivendo libri gialli, ha dato vita al poliziesco italiano. L’unico inimitabile legato a Sarti Antonio, sergente. L’altro disegnando, con schizzi che sono diventati poi tavole e fumetti. Su albi prestigiosi, come Alan Ford e Kriminal. Era destino che vivendo nella stessa città, Bologna, s’incontrassero. Era destino che lavorassero assieme. "Un regalo inaspettato che non sono mai riuscito a contraccambiare", disse Loriano Macchiavelli, ripensando a quando si vide recapitare il suo Sarti Antonio e il malato immaginario, arricchito dalle illustrazioni di quel Roberto che nel frattempo, per tutti, era diventato Magnus.

Il contraccambio – ancora il destino – è stato impossibile, perché Magnus se ne è andato via presto. Fin troppo presto: è morto nel 1996, Macchiavelli invece, lo scorso marzo ha festeggiato i suoi 87 (giovanili) anni. Nove anni prima, per fortuna, l’incontro artistico. Non il primo, a dir la verità, tra i due. Meglio partire però dalla fine: è uscita l’altro giorno la riedizione di Sarti Antonio e il malato immaginario (240 pagine, Dario Flaccovio editore), con le illustrazioni di Magnus. Il titolo inganna, ma non è uno specchietto per lettori-allodole. Anche in questo poliziesco, uscito a puntate dal gennaio del 1987 all’ottobre del 1988 sulla rivista 2000 incontri, c’è tutto Sarti Antonio, sergente. Con le sue certezze, meglio le sue incertezze che l’hanno reso così familiare, così umano, così antieroe, per usare un termine novecentesco, che di tanto in tanto rispunta qua e là. Una volta Macchiavelli disse del suo fortunato personaggio: "È così onesto da sembrare patetico".

All’occhio disincantato potrà pure sembrare patetico, ma è uno di famiglia. Uno, cui ci si affeziona. Che non nasconde le sue debolezze. I suoi limiti. Riassunti materialmente dalla quotidiana lotta tra la colite e il prendersi un altro caffè (ma buono) con la certezza di finire un istante dopo in bagno. Questa volta però, il vero protagonista non è lui. E non certo lo sono le altre spalle delle indagini di Sarti Antonio: lo studente extraparlamentare Rosas e Felice Cantoni, l’agente che guida l’auto 28. Ma Ugo Poli, lo Zoppo, il vice ispettore aggiunto finito in archivio dopo un incidente sul lavoro. Cattivo e perfino un po’ fascista. Personaggio che uscirà in fretta dalle traiettorie narrative di Loriano Macchiavelli, non senza un po’ di rammarico. Poli è quello della controindagine, ma il punto non è la trama e nemmeno fare dello spoiler, come si usa dire adesso. Ma raccontare oltre all’intreccio verbale costruito da Macchiavelli, quello iconografico di Magnus che dà volto e sembianze a Poli, cosa che non era riuscita fino in fondo allo stesso Macchiavelli con la parola scritta.

Ecco che il carattere rancoroso poggia su quella gamba che ha bisogno del sostegno del bastone per muoversi. Qualche anno prima Flavio Bucci aveva portato Ugo Poli in tv, nel film L’archivista. Ma i caratteri forti del personaggio creato da Macchiavelli sono accentuati proprio dal chiaroscuro con cui lavora Magnus. Lui prima di allora non aveva mai rappresentato la sua città. E in quelle tavole c’è anche Bologna, vista per la prima volta con gli occhi di Magnus. Bologna in cui sono immerse le storie di Sarti Antonio, dove l’aria bonaria della città – che è più una patina che altro – è sconquassata dalle indagini che il “questurino” di Macchiavelli porta avanti.

Ma prima di allora, Magnus e Macchiavelli s’erano incontrati già in un’altra occasione per collaborare. Era la prima volta. Il Sessantotto, quella rivoluzione tra le dita. Sarti Antonio era ancora al di là dal venire alla luce e Macchiavelli si occupava di teatro. Lo racconta lui stesso: "Al tempo con il Gruppo Teatrale Viaggiante gestivamo un teatro ricavato da una chiesa sconsacrata, io scrivevo i testi degli spettacoli e dovevamo mettere in scena Antonello capobrigante calabrese. Mancava la scenografia e si presentò Roberto. Realizzò dei pannelli mobili che ruotavano di 360 gradi, da una parte c’era una ricca casa calabrese dall’altra si trasformava nella Sila". C’era del genio. Già allora, in entrambi. Era naturale che si (re)incontrassero di nuovo. Per fortuna.

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