
Il festival fiorentino numero 87 si è aperto con l’opera di Strauss e l’interpretazione strepitosa del maestro britannico
E così anche il Maggio musicale fiorentino numero 87 si è aperto con il gran successo di Salome di Strauss. Strepitoso il direttore Alexander Soddy (come si vedrà, si tratta della notizia più importante), che evidentemente ama un’Orchestra superlativa e ne è riamato. Emma Dante ha fatto uno spettacolo alla Emma Dante, prendere o lasciare, e Lidia Fridman è certamente meglio quando canta Strauss che nel melodramma italiano. C’è stato perfino un certo spolvero mondano, anche se sul dress code bisognerà mettersi d’accordo perché questa coesistenza di smoking e jeans non è un bel vedere. Tanti applausi. Comunque questa non è una recensione dell’opera, ma la cronaca di una resurrezione, diciamo la Pasqua del Maggio.
Quando poco più di un anno fa Carlo Fuortes è arrivato a Firenze, un po’ di rimbalzo perché era fallito il blitz del governo di portarlo al San Carlo e alla Scala non l’avevano voluto in quanto troppo romano, la veneranda istituzione usciva dal commissariamento seguito all’evo Pereira fuori pericolo ma ancora convalescente. Nessuno immaginava che nel giro di un annetto tornasse alla tranquillità, che è il requisito che rende possibile tutto il resto. E dunque dopo un autunno-inverno un po’ interlocutorio ecco un MMF, sulla carta, di tutto rispetto, dove dopo lo Strauss arriveranno un titolo da festival come Der junge Lord di Henze e un altro come Aida che da festival non è ma lo diventa se dirige Zubin Mehta e la regia è di Damiano Michieletto (spettacolo, per inciso, visto a Monaco e assolutamente memorabile ma forte, chissà quanti "povero Verdi").
I numeri sono buoni. Nel ’22, la biglietteria aveva incassato tre milioni di euro in tutto l’anno; nel ’23, tre milioni e 300 mila; nel ’24, tre milioni e mezzo. Nei primi tre mesi del ’25 i milioni sono già tre, il che fa sperare che entro la fine dell’anno saranno almeno cinque. Qui, naturalmente, entrano in gioco un paio di questioni che finora erano state eluse, e che per la verità nemmeno la città ha mai discusso, limitandosi alle sue consuete faide guelfi-ghibellini, questa volta in versione Pereira sì-Pereira no. La prima riguarda la diversificazione fra la stagione "normale" e il Maggio, che è nato come festival e festival deve restare. Il che significa che deve proporre o titoli desueti o titoli consueti ma in allestimenti fortemente innovativi. Bisogna avere fiducia nel pubblico, che magari sulle prime rimane perplesso o magari protesta. Ma se la proposta è di qualità, alla fine segue. Lo si è visto a Roma, dove Fuortes ereditò un teatro ciabattone e banale e lo trasformò nel più stimolante d’Italia.
Seconda questione: è ovvio che la faraonica struttura di piazzale Gui, con le sue tre sale, Grande, Mehta e Cavea, è sovradimensionata rispetto alla città. Quindi o il MMF pompa spettatori dal resto del granducato, dall’Italia e dall’Europa e magari anche più in là oppure non ha senso. La grande alleata è l’Alta velocità, almeno quando funziona; una buonissima idea, di conseguenza, quella di piazzare la "prima" di ogni spettacolo alla domenica alle 17 e l’ultima alle 15.30. Il Maggio è certo dei fiorentini, ma può davvero stare in piedi solo se guarda al mondo.
Infine, dopo che Daniele Gatti se n’è andato, serve un nuovo direttore musicale. E qui l’indiziato numero uno è appunto Soddy, che ha l’età, 42 anni, l’energia e la bravura giuste. Il test di Salome è stato superato. La nomina arriverà magari in ottobre, dopo un’altra opera che non fa sconti come Macbeth (in una nuova produzione griffata Mario Martone, per inciso).