Stereotipi addio: ecco il supereroe asiatico

Via pitoni e orientalismi da film. Esce “Shang-Chi e la leggenda dei Dieci anelli“, primo cinecomic Marvel con protagonista un cino-canadese

Migration

di Andrea

Bonzi

Che cosa hanno in comune i romanzi pulp di inizio Novecento, una serie tv anni Settanta, le arti marziali e i fumetti Marvel? La risposta è Shang-Chi, primo supereroe di origine asiatica e protagonista di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci anelli di Destin Daniel Cretton, l’ultimo film Disney-Marvel, in uscita il 1° settembre nei cinema.

Una doppia scommessa per gli Studios. Da un lato, c’è la speranza che la pellicola interpretata dall’attore cino-canadese Simu Liu segua le orme dell’eroe afroamericano Black Panther, che ha incassato in tutto il mondo più di 1,4 miliardi di dollari, e magari conquisti altre fette di mercato in Estremo Oriente. Inoltre, il film avrà una finestra garantita di 45 giorni al cinema, prima di approdare sulla piattaforma Disney+ a pagamento: un test per verificare lo stato di salute delle sale nell’era post-pandemia, evitando cause legali come quella intentata da Scarlett Johansson per l’uscita solo in streaming di Black Widow.

La vicenda editoriale di Shang-Chi è complessa e curiosa. Ed è emblematica, per certi versi, del difficile rapporto che la cultura popolare occidentale, in particolare statunitense, ha avuto con la rappresentazione delle figure orientali.

Ma chi è Shang-Chi? Negli anni Settanta, la Marvel voleva cavalcare la moda delle arti marziali, che spopolavano anche da noi grazie ai film di Bruce Lee.

Cercò di comprare i diritti di Kung Fu, serie televisiva (trasmessa anche in Italia) ambientata nel vecchio west, che aveva come protagonista un monaco shaolin. Il protagonista era David Carradine: un occidentale, perché Hollywood era restia a ingaggiare attori asiatici per ruoli di peso (lo stesso Bruce Lee fu scartato). Fatto sta che la trattativa per i fumetti non andò in porto, e la Marvel, allora, ripiegò sul temporaneo acquisto dei diritti di Fu Manchu, genio del male creato nel 1913 sulle pagine dei romanzi dello scrittore britannico Sax Rohmer.

Archetipo del Pericolo Giallo (ovvero la presunta minaccia costituita dai popoli orientali nei confronti della società bianca), Fu Manchu – apparso anche in una ventina di film in cui metteva in atto gli stratagemmi più ingegnosi, servendosi tra l’altro di pitoni, ragni velenosi e schiere di mortali accoliti – è capostipite di una lunga serie di villain asiatici nell’immaginario occidentale: da Ming lo spietato, nemesi di Flash Gordon (1934), fino ad antagonisti di James Bond come il Dottor No (figlio di madre cinese) e OddJob, massiccio tirapiedi di Goldfinger armato di una bombetta affilata. Senza dimenticare Lo Pan, stregone a caccia dell’immortalità nel cult Grosso guaio a Chinatown (1986) e dei suoi pretoriani dotati di poteri soprannaturali.

Fatto sta che Shang-Chi, apparso nei fumetti nel 1973 grazie a Steve Englehart (testi) e Jim Starlin (disegni), nasce come il figlio segreto di Fu Manchu e ne diventa l’acerrimo nemico, il guerriero ‘buono’ che si contrappone al mefistofelico genitore usando mani, piedi e nunchaku come armi. Gli albi del ribattezzato Maestro del Kung Fu usciranno per dieci anni (anche in Italia, pubblicati dalla Editoriale Corno), ma il personaggio ritornerà ciclicamente, fino a indossare il costume che si vede nel film.

L’escamotage per rendere ancora più organico Shang-Chi nell’universo cinematografico Marvel è semplice: il nostro eroe diventa il riluttante figlio del Mandarino, già apparso (ma solo come parodia) in Iron Man 3. E dunque dovrà sfidare il padre – interpretato da Tony Leung – per ritrovare se stesso e salvare, si spera, il mondo. Il Mandarino è a capo del gruppo terroristico dei Dieci Anelli. Proprio quelli (più simili a bracciali potenziati, per la verità) il cui potente Shang-Chi dovrà imparare a dominare. E qui, come si dice, il cerchio – o meglio l’anello – si chiude.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro