
Un’anteprima degli allestimenti per la XIXª edizione della Mostra Internazionale di Architettura
Luca Scarlini
Come se fosse la prima volta. La Biennale di Venezia ha spesso dovuto affrontare la Politica, con la p maiuscola dell’ingerenza più clamorosa. Il diktat di Trump per un padiglione che rispecchi i valori americani fa sensazione, dopo gli attacchi al Smithsonian Institute e ad altre istituzioni principali. Dopo anni di brividi postcoloniali, con curatori dal mondo caraibico e dall’eredità native american, lascerà il posto a un Capitan America dell’arte, con il suo scudo decorato dalla stella Usa, che creerà lo spazio desiderato dal presidente, il giardino degli eroi americani.
Dalle parole usate si intuisce un ritorno a forme realistiche più tradizionali, a temi ’all american’, incentrati specialmente sulla relazione famiglia/Paese. Qualcuno in rete ha fatto un paragone con lo stile di ’The man in the High Castle’ serie acclamata da Philip K Dick, con gli Usa invasi da nazisti e giapponesi, e una nuova arte monumentale che svetta sotto la croce uncinata. Forse il problema è proprio invece la struttura per nazioni della Biennale che regge sempre peggio alla tirannia del tempo.