Sabato 12 Luglio 2025
COSIMO CECCUTI
Magazine

Spadolini, i suoi cent’anni e l’eredità. Quell’amore viscerale per il senso dello Stato

Il 21 giugno 1925 nasceva lo storico, giornalista e uomo delle istituzioni. Oggi a Firenze Giuli apre la mostra che lo celebra

Giovanni Spadolini: nato a Firenze il 21 giugno 1925, moriva a Roma a 69 anni. In alto, lo statista tra i suoi amati cimeli

Giovanni Spadolini: nato a Firenze il 21 giugno 1925, moriva a Roma a 69 anni. In alto, lo statista tra i suoi amati cimeli

"Ci vorrebbe oggi un altro Spadolini!". È la frase che ricorre spesso in questi giorni, in cui si ricorda il centenario della nascita di Giovanni Spadolini (21 giugno 1925) negli articoli e nelle testimonianze, soprattutto nell’affetto e nel pensiero della gente comune. Cosa manca, a trent’anni dalla scomparsa, dello statista, storico e giornalista? La civiltà nella politica, innanzi tutto: la sua costante ricerca del dialogo fra le parti, del confronto, della paziente ricerca della sintesi, del compromesso nel senso positivo della parola, della ragione, nel rifiuto delle contrapposizioni rigide, dei fanatismi e degli integralismi. Manca il suo senso dello Stato, la subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale del Paese. Quando era Presidente del Consiglio dei Ministri, nel 1981, ripeteva con soddisfazione: "La gente non sa neppure che sono segretario nazionale del partito repubblicano".

Era davvero il Presidente di tutti gli italiani, con quel suo amore viscerale e contagioso per l’inno di Mameli e per la bandiera tricolore, che l’amico Giorgio Forattini gli metteva in mano ritraendolo nudo e grasso, come un bambinone felice, nelle sue divertenti caricature. Si avverte nelle persone il desiderio di trasparenza dalle mura del Palazzo, di quella onestà e pulizia morale che permisero a Spadolini di attraversare a testa alta il periodo traumatico di “mani pulite”, mai sfiorato da una benché minima ombra sul suo operato. Si percepisce, non ultima, la mancanza della sua preparazione culturale, fondamentale requisito anche nel mondo della politica, non solo in quello degli studi e dell’informazione.

Una vita precoce la sua. Indro Montanelli osservava che Spadolini era diventato direttore di un quotidiano nazionale, il Resto del Carlino, a soli ventinove anni, senza essere mai stato redattore; docente universitario a venticinque, senza il tradizionale periodo di assistentato; Ministro della Repubblica, senza avere mai fatto il Sottosegretario. E quale Ministero! Aldo Moro, capo del governo, che ne conosceva bene la preparazione e insieme le capacità organizzative, lo chiamò cinquant’anni fa – era in Parlamento da soli due anni – a dare vita al ministero per i beni culturali e ambientali (oggi della Cultura), creato con decreto legge dato lo stato di “necessità e urgenza” in cui si trovava il patrimonio nazionale.

Spadolini ripeteva spesso di avere tre anime: lo storico, il giornalista, l’uomo delle istituzioni. In realtà erano una sola, qualunque attività svolgesse. Le prime ricerche storiche le condusse per Il Mondo di Mario Pannunzio, indagando i filoni originali dell’”Italia di minoranza”, dell’associazionismo laico e cattolico che avrebbero alimentato i corsi universitari e le grandi opere sulle opposizioni allo Stato liberale. I giornali da lui diretti esaltarono la terza pagina, portando con le firme più prestigiose la cultura alla portata di tutti: convinse perfino Ignazio Silone a collaborare stabilmente a un quotidiano “borghese” come il Resto del Carlino.

In politica, il presidente americano Ronald Reagan lo salutò al momento in cui lasciava Palazzo Chigi come "l’uomo più colto che ho incontrato nella vita". Europeista convinto, aveva operato per la compattezza dell’Occidente, dell’asse fra Stati Uniti e vecchio Continente, Russia compresa. Ecco il senso della sua eredità.

Presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia