"Sono mister Keitel. E risolvo ancora problemi"

Il grande attore ospite del festival “Filming Italy“: "Ho imparato che non importa se fai cinema o tv. Ciò che conta è essere i migliori"

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di Giovanni Bogani

Il ghigno da duro è sempre quello, quello di mister Wolf che "risolve problemi", nel film Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Ma a tratti si intenerisce, per esempio quando parla di un amico, compagno di cinema, morto troppo presto. Parla, e qui la voce gli si incrina, e Harvey Keitel scoppia in un silenzio – non un pianto, ma un silenzio – dirotto.

Harvey Keitel, il poliziotto di Thelma e Louise , il duro di Taxi Driver. Il tabaccaio di Smoke, piccolo film indipendente che vinse l’Orso d’argento a Berlino, e in cui lui raccontava un personaggio che gli era simile, un uomo nato e cresciuto a Brooklyn, come lui. Keitel, l’amico di Martin Scorsese fin da quando erano ragazzi, è in questi giorni in Sardegna, ospite – e presidente onorario – di "Filming Italy - Sardegna festival", diretto da Tiziana Rocca. E si racconta: parla di sé, iniziando dal cinema italiano con il quale ha avuto una lunga frequentazione.

Keitel, con i registi italiani ha girato spesso: da Lizzani alla Wertmuller, da Scola a Sorrentino…

"Ho un grande rapporto d’amore con l’Italia e con il suo cinema. Ho girato anche quel film in Garfagnana, Il mio West, diretto da Giovanni Veronesi. Mi piacerebbe fare un altro film con lui, un giorno. Sorrentino con Youth mi ha fatto riflettere sull’età. Con Ettore Scola, nel Mondo nuovo, ci siamo sentiti complici. Mi sento in sintonia con gli italiani: e quando, l’anno scorso, ho visto le immagini dell’Italia in tv, con gli ospedali e i morti, ho provato molto dolore".

Si discute molto dei film fatti uscire sul piccolo schermo. Che cosa ne pensa?

"Prima anche io, cresciuto a New York, pensavo che il cinema fosse solo quello con la C maiuscola, e con lo schermo grande. Ma una volta vidi in tv una performance pazzesca, di un’attrice che aveva fatto l’Actor’s Studio. E allora capii una cosa: non è la tv che è peggiore, sei tu che devi essere migliore".

Anche nel prossimo film sarà diretto da un regista italiano, Davide Ferrario. Di che cosa si tratta?

"Il film si chiama Blood on the Crown, sangue sulla corona. La corona è quella britannica: la storia è quella dei moti di Malta per l’indipendenza; io interpreto il governatore inglese, un ufficiale dell’esercito, che in quei giorni di giugno del 1919 non sa come comportarsi di fronte ai ribelli, e soprattutto non sa come frenarli".

Il suo nuovo progetto sarà tutto "in famiglia"…

"Sì: voglio girare un film diretto da mia moglie, Daphna Kastner. Mi sono innamorato di lei perché è fantastica, non solo come donna, ma anche come autrice di film. E voglio mettermi alla prova con lei". I due si incontrarono proprio in Italia, a Roma negli anni ’80, per poi reincontrarsi diciassette anni dopo, in un festival in Italia, nel 2001. Quella volta, Harvey Keitel le chiese di sposarlo.

Con Martin Scorsese vi sentite sempre?

"Sì: non abbiamo mai smesso di essere amici. Abbiamo iniziato quando nessuno dei due aveva un centesimo: giravamo soltanto nei weekend, perché durante la settimana dovevamo mettere insieme qualche dollaro facendo i camerieri. Di Martin capii due cose: che amava il cinema alla follia, e che aveva una grande fede, una luce in fondo all’anima. Ci siamo trovati subito, e non ci siamo più perduti".

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