di Lorenzo Guadagnucci Tutto cominciò con un grido: "Molla Buni!". Romolo Buni era un ciclista e nel marzo 1894 sfidò nientemeno che Buffalo Bill, in un duello bicicletta-cavallo passato alla storia del romanzo popolare, quello scritto non sulle pagine di un libro, ma lungo le strade e nelle piazze della passione sportiva. "Molla Buni!" era il motto d’incitamento della folla per il “piccolo diavolo nero“ del pedale ma si passò presto a usarlo in tutt’altri contesti: "Si grida “molla Buni“ – riferisce un cronista del tempo – al merciaiuolo che grida per strada la sua mercanzia, “molla Buni“ all’uomo affaccendato che cammini lesto, alla servetta frettolosa che va a fare la spesa..." Erano i prodromi del tifo, inteso come tifo sportivo, un fenomeno oggi pressoché universale, ma che solo in Italia si chiama così, con un vocabolo che deriva dal greco e indica un morbo che tanta rovinosa parte ha avuto nella storia d’Europa e dell’intera umanità. All’inizio, negli anni a cavallo del secolo, di fronte alle folle appassionate che urlavano ai ciclisti in corsa o esultavano allo stadio per il nuovo spettacolo importato dall’Inghilterra, le cronache dei giornali parlavano di "appassionati", "fanatici" o "partigiani", aggiungendo a volte rafforzativi come "turbolenti", "irruenti", "nevrotici". A un certo punto qualcuno – a Grande Guerra da poco finita – cominciò a parlare di tifo e di tifosi. A Faenza il 28 ottobre 1925 (forse non casualmente nel terzo anniversario della Marcia su Roma) comincia le pubblicazioni un nuovo settimanale sportivo, che sceglie di chiamarsi Il Tifo. Il Corriere della sera parla per la prima volta di "tifosi" in un articolo del 1927, raccontando di una gara di carriole per il carnevale. Intanto la passione per lo sport si diffonde, diventa un fatto sociale sempre più importante e spuntano anche i primi “eroi“, con epiche ...
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